Mumbai. Una, nessuna e centomila

Andrea Piotto | Andrea pi8

MUMBAI, Bombay (fino al 1995*). Una, nessuna, centomila e forse più, considerando le reincarnazioni. Prima di scriverne ho fatto una “ricerchina”, come alle scuole medie, e speravo che Wikipedia mitigasse la mia visione pessimistica di questa fiera medioevale; così non è stato, ma se non altro mi sono fatto due risate, amare, mentre ne leggevo. Userò quindi le informazioni prese da Wikipedia come traccia, integrandole con la mia esperienza personale. Buona impressione! (Che dubito sarà buona).

Un centinaio di giorni della mia vita li ho passati a Mumbai, in India; è successo più o meno un anno fa, e ancora non riesco a definirla e riassumerla… non sarà quindi un racconto obiettivo, “Mumbai è troppa”. Scriverò della luce, dei rumori, colori, odori, sapori che ho assorbito, delle mie impressioni, della “mia India”, cercando per quanto possibile di andarci piano, perché è pericoloso e difficile giudicare una cultura così diversa, variegata e mutevole.

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La ragione ufficiale del viaggio è stata uno stage lavorativo presso un’importante impresa di costruzioni locale; mi avevano garantito un minimo di assistenza, compreso un appartamento in cui vivere, e sono così partito senza troppe preoccupazioni, incuriosito per quanto traspariva da libri come Shantaram o La Città della Gioia. Quindi parto, arrivo, respiro.

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Respiro… ahia, ecco il primo problema. Nell’aria un odore aspro e caldo-umido, di umanità, come in una stalla della Pianura Padana in cui si sia svolta la sagra della trippa in umido (sarà un piatto regionale? non saprei…); semplicemente, è uno dei luoghi più densamente popolati al mondo e molti bruciano sterco di mucca mischiato a paglia come combustibile e repellente per gli insetti, quindi nulla di strano, tutto sotto controllo, ma un conto è dirlo, un altro esserci.

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Bene, sono in India, al lavoro si comincia fra due giorni, ho voluto la bici? E ora pedalare! Ben inteso, in senso metaforico, perché qui il traffico davvero non scherza, meglio prendere un rickshaw!

Guardo dalla finestra. Ho un appartamento al 23° piano di un grattacielo, aria condizionata, piscina e palestra, un sacco di personale che mi gira attorno curioso, e tutta intorno a me, là in basso una giungla fitta e verde da cui di notte arrivano strani richiami e ululati.

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Ma dove sono finito? Mumbai è la capitale dello stato indiano del Maharashtra, e in qualche secolo è passata da colonia di pescatori a toccare il primo milione di abitante nel 1901, e i 21 milioni nel 2013, come le popolazioni di Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria concentrate in un’area paragonabile alle dimensioni dell’isola d’Elba.

Mumbai è anche la capitale economica dell’India, generando il 5% del PIL del paese, il 25% della produzione industriale, il 40% del commercio marittimo, e il 70% delle transazioni di capitali dell’economia indiana. E sono solo il 3 % della popolazione!

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Per l’attrattiva di una prospettiva di vita migliore, l’immigrazione dalle campagne di tutta l’India è enorme: questo contribuisce ad alimentare un crogiuolo di comunità e culture, razze, religioni, che può generare tensioni ma che solitamente, per la natura degli indiani, alimenta una spirale virtuosa di scambio, amplificata dalla propensione alla vita comune, in strada, per tutte le attività ricreative e molte delle necessità primarie.

Questa vita comune è in parte voluta, cercata, fa parte della cultura indiana che per alcuni aspetti ricorda la struttura patriarcale della vecchia famiglia italiana, ma è anche conseguenza delle condizioni di promiscuità in cui si trova a vivere quasi il 70% dei Mumbaikar (in lingua Marathi: मुंबईकर), i residenti o meglio gli abitanti degli slums di Mumbai, con una densità abitativa che tocca picchi di 400.000 persone per chilometro quadrato nella zona di Dharavi, il secondo slum d’Asia per estensione (qui è dove sono state girate molte delle scene del film The Millionaire – titolo orginale: Slumdog Millionaire – 2008).

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In queste immense baraccopoli, i muri perimetrali di villette in stile neoclassico fanno da sponda a capanne rimediate con un telone di plastica, sorgono condomini più o meno abusivi che giustificano i tracciati di luce e telefono da cui partono infinite derivazioni certamente abusive, e poi templi, bancarelle, mucche, cani, alberi, scooter, persone, ovunque.

Allo stesso tempo Mumbai è seconda solo a Miami per numero di edifici costruiti in stile Art Decò ed è la città dell’India con più grattacieli.

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Questa creatura è affetta dai grandi problemi urbanistici comuni alle nuove megalopoli dei Paesi in via di sviluppo: qui come altrove la situazione è aggravata da una scarsa coscienza sociale da parte degli abitanti, spesso immigrati non istruiti e non abituati, per esempio, a dover smaltire plastica o carta, perché usavano materiali biodegradabili o erano soliti bruciare tutto, senza distinzione, e questo in una città non si dovrebbe fare, o almeno non a lato della strada.

Certo, mucche e capre pascolano tra i rifiuti svolgendo un utile servizio di nettezza urbana, ma le falde acquifere sono irreparabilmente compromesse dagli scarichi diretti di fogne a cielo aperto e non, perché in molte aree della città non esiste un sistema fognario vero e proprio, anche se si stanno costruendo ovunque condomini da 30 piani e centri commerciali.

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Il salario medio è un concetto difficile da illustrare. Gli indiani ricchi sono ricchi, molto ricchi, e nel loro Paese hanno un potere d’acquisto superiore a quello di un europeo in Occidente. La merce d’importazione costa praticamente come in Italia, gli stipendi dei giovani professionisti si aggirano nell’ordine dei 1.000 euro mensili ma si può guadagnare davvero molto di più, mentre un autista, un cuoco o la donna delle pulizie prenderanno, esagerando, 30 euro al mese.

Va detto che un chilo di pomodori costa 10 centesimi, il riso magari 20, ma alla maggior parte degli indiani rimangono accessibili solamente i beni di prima necessità e la produzione nazionale, mentre viene praticamente negato il salto di classe sociale, anche per colpa del sistema delle caste, ufficialmente abolito ma, come si sa, le tradizioni sono dure a morire.

L’istruzione è l’unica soluzione per chi non ha doti sportive o talento recitativo; esistono scuole pubbliche e private di buon livello, ma il Governo prevede aiuti limitati e solo in termini di alloggio a chi non può permettersi studi superiori autonomi. Per il resto ci si deve affidare a conoscenze e raccomandazioni, molto più che in Italia, anche se può sembrare difficile a credersi.

La struttura sociale indiana è pesantemente compromessa da fenomeni di corruzione e di arroganza politica ed economica. I voti degli slums per la corsa al Parlamento vengono barattati a suon di promesse puntualmente disattese o quasi patetiche, tipo l’impegno che verranno svuotati i pozzi delle latrine, e da personaggi minori che a volte osano presentarsi sui manifesti elettorali con tanto di occhiali da sole scuri, manco fossero i nipoti di Pablo Escobar.

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Qui convivono hindù (67.39%), musulmani (18.56%), buddisti (5.22%), giainisti (3.99%), cattolici (4.2%) e altre minoranze tra cui ebrei e sikhs, e nell’aria si incontrano i dialetti di tutta la Nazione.

Questa diversità culturale si riflette in una ricca offerta di tradizioni particolari, cibi e usanze regionali, costumi, musiche, diverso aspetto fisico, il tutto in bilico tra passato, tradizioni millenarie e il nuovo Occidente che fa l’occhiolino.

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Il 26 novembre del 2008 si è verificata una serie di gravi attentati terroristici che hanno causato 195 vittime e 295 feriti; da quel momento tutti i veicoli e le persone vengono controllati all’ingresso dei principali luoghi pubblici della città. Non sono stati i primi e nemmeno gli ultimi.

La città è quindi sottoposta a forti tensioni interne e lo definirei uno stato di calma solo apparente.

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Perché Bombay è stata rinominata Mumbai nel 1995? Il partito nazionalista hindù Shiv Sena, all’epoca al governo nello stato di Maharashtra, decise di cambiare il nome ufficiale della città adottando il nome in lingua Marathi di Mumbai. I nazionalisti sostenevano che il nome Bombay fosse una corruzione del nome originale Mumbai ed espressione dell’influenza britannica durante il periodo coloniale.

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