La geografia dei ricordi più alti

Cristina Soldano

Appennino senza confini: una storia fatta di luoghi e persone, un viaggio per l’Italia in verticale di e raccontato da Cristina Soldano. Partecipa anche tu a questa narrazione collettiva su cultura e territorio della spina dorsale d’Italia!

Un progetto di CCT in collaborazione con il Corso di Studio PROGESA (Progettazione e Gestione degli Ecosistemi agro-territoriali, forestali e del paesaggio) dell’Università di Bologna insieme alla Scuola AL.FO.N.S.A. (ALta FOrmazione e innovazioNe per lo Sviluppo sostenibile dell’Appennino) promossa da UNIAPPENNINO (Università per l’Appennino) e ad ANA (Accademia Nazionale di Agricoltura).


ITALIA Quando cresci in pianura, davanti al mare, sviluppi una personale visione del mondo che inciderà sempre sul tuo modo di guardare e sentire i luoghi che abiterai.

L’assenza di confini, i colori puri e brillanti, il mare che si fonde con il cielo, lo sguardo che si perde senza quinte che restringano la visione, l’orizzonte piatto, rassicurante, di cui poter sognare.

Con lo zaino in spalla, però, si imparano ad amare scenari molto diversi da quelli che hai sempre chiamato “casa”. Col tempo ho imparato ad annotare le differenze e ricordare tutto quello che di nuovo mi si palesava davanti agli occhi; ho imparato a fissare i ricordi, con immagini e parole.

Ne è venuta fuori una mia personale mappa, in costante aggiornamento. È un album di famiglia, in cui incollo fotografie che non ingialliscono mai. È anche una cartina, una geografia tutta mia con cui interpreto il presente e il passato;  serve a me per ricordarmi chi sono e poter camminare senza l’ansia di non avere radici ma, al contrario, con la certezza di avere sempre un posto in cui tornare e ancora tanto da esplorare.

È una mappa che corre lungo la spina dorsale d’Italia, che raccoglie i luoghi che ho abitato e in cui ho sognato di abitare. Qui ci trovo le vite possibili, quelle che potevano accadere e non sono mai accadute, quelle che ho sfiorato per qualche giorno, per qualche ora, per poi rimettermi in viaggio, giusto il tempo di bere un bicchiere di vino con chi incrociavo per strada, chi mi accoglieva in casa per raccontarmi la sua storia e permettermi di ripartire con lo zaino carico di meraviglia.

È così che ho incontrato la signora Carla, che ha incrociato il mio sguardo mentre percorrevo la strada davanti casa sua, a Spelonga, un piccolo borgo del comune di Arquata del Tronto, a cavallo tra due parchi: il Parco nazionale dei Monti Sibillini e il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Ero in cammino da due giorni, 48 ore alla scoperta di luoghi e persone dell’Appennino umbro-marchigiano, insieme ad alcuni amici.

La signora Carla mi guarda con circospezione, poi mi chiede “Da dove arrivi?”.

Apprende sconvolta dei chilometri accumulati sotto i piedi e senza pensarci due volte prepara un caffè per tutti.

“Che bello avere la casa piena di gente!” – dice versando il contenuto della moka nelle tazzine. Ancora me la ricordo questa frase, come se me l’avesse detta ieri.

Carla è lì insieme a sua sorella e suo cognato. È una casa vacanze quella in cui siamo entrati, l’hanno ristrutturata da soli, per sistemare i danni del terremoto; hanno aspettato per giorni che qualcuno venisse a togliere le macere, ma la responsabilità cambiava continuamente e le macerie rimanevano lì dov’erano. Fino a quando loro si sono stancati di aspettare.

Le due sorelle ci raccontano del paese, ormai deserto. Uno spopolamento che il terremoto ha solamente accelerato. Ci raccontano anche delle tradizioni che ancora sopravvivono, come la “Festa Bella” che ogni tre anni celebra la partenza dei cittadini di Spelonga per la battaglia di Lepanto. La festa comincia quando un centinaio di uomini va nei boschi per cercare un grosso albero da tagliare, alto 25, forse 30 metri. Il tronco viene portato a braccia in paese, dove viene issato con una bandiera turca per ricordare la vittoria sugli ottomani. Gli Spelongani sparsi in tutto il mondo rientrano in paese per l’occasione, intorno all’albero si fa festa per tutto il mese di agosto e io me la immagino la Festa Bella, i sorrisi, i balli e la bellezza di darsi appuntamento in questo piccolo paese ogni tre anni, per celebrare la memoria dei luoghi che ci accomunano. 

“Signora, le posso scattare una foto qui fuori?”

“Certo, ma non prendere le lenzuola lì in lato”. Mi ha ricordato tanto mia nonna. Meglio morire che mostrarsi scomposta.

Nella mia mappa personale sono tanti i luoghi in cui ho fissato un ricordo, una puntina a fermare il tempo. Ci sono i Monti Sibillini, che mi hanno legato a persone e paesaggi che oggi mi mancano come l’aria. A furia di ascoltarli ti entrano nella testa e nel cuore quei nomi fantastici, anche un po’ magici: Monte Rotondo, Passo Cattivo, Monte Bove, Monte Sibilla, Monte Vettore, il Sentiero delle Fate, il Lago di Pilato.

La figura della Sibilla Appenninica ha impregnato questi luoghi di leggende che oggi continuano ad affascinare i visitatori. Si hanno traccia delle Sibille fin dall’antichità, ma ho imparato che la Sibilla dell’Appennino ha una storia tutta sua, tramandata di generazione in generazione dai pastori. Mi aveva colpito molto il legame della Sibilla con il territorio umbro-marchigiano: era una veggente che gli abitanti dell’Appennino hanno ospitato e custodito per secoli, “dandole gli abiti che conoscevano”.

La sua natura non è sempre chiara, spesso definita malefica, tentatrice, ammaliatrice. Non c’è da stupirsi, la donna tentatrice che insidia l’uomo lungo il suo cammino è una figura retorica, di cui almeno oggi dovremmo disfarci. Se poi ci aggiungiamo che questi monti erano rifugio per gli eretici, i Sibillini si trasformano nel set perfetto per ambientare miti e leggende.

È una profetessa dai mille volti la Sibilla, che vive in una grotta circondata da fate che escono allo scoperto di notte per ballare il saltarello con i pastori, oppure scendono a valle per insegnare alle donne a tessere le lane. A mezzanotte però tutte a casa! (Anche questa non è una novità).

Niente scarpette di cristallo, ma piedi caprini come antichi fauni. Pare che proprio il loro scorrazzare abbia dato vita ai sentieri che ancora oggi percorriamo. I viaggiatori appresero dell’oracolo dei Sibillini e cominciarono a cercarla lungo il loro cammino, assetati di risposte.

E poi c’è Castelluccio di Norcia, che ho visto in tutte le stagioni. In inverno, camminando con il vento gelido che sferzava sul viso; in primavera, con la fioritura della lenticchia e la bellezza che esplode su ogni versante. Ho visto le macerie, ho visto la voglia di rinascere, entrambe dolorose.

In ogni luogo mi sono fermata, per parlare con chi incontravo. In ogni borgo, paese, rifugio, ho trovato una casa, quella che cerco tutti i giorni. Ho scoperto la storia di Marco, fatta di resistenza e amore per la terra. A Macereto sorge la sua Azienda Agricola Scolastici, e dopo il terremoto del 2016 anche la yurta in cui Marco vive: fa il pastore e produce formaggi, nel rispetto della natura e dei suoi cicli. Qui si sente a suo agio, qui si sente leggero.

Ho scoperto la storia di Stefano ed Elena, dell’Associazione Monte Vector. Insieme gestiscono il Rifugio dei Mezzi Litri, alle falde del Monte Vettore, il massiccio più alto dei Sibillini. Portavano avanti la loro lotta per il diritto di abitare l’Appennino, un diritto che sia davvero per tutti: per questo hanno lanciato un progetto di turismo inclusivo di “ospitalità senza barriere”. Tra le opere in fase di realizzazione c’è una pedana che permetta a persone con disabilità di accedere all’area verde del Rifugio, l’inserimento di cartelli in lingue diverse e in braille per raccontare le bellezze dei monti Sibillini a chiunque, la realizzazione di strutture mobili di ospitalità senza barriere.

E poi la storia dei ragazzi di C.A.S.A., a Frontignano di Ussita (MC), una piccola frazione nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini a 1.350 metri di altezza. Un “porto di montagna” in cui inventare nuovi modi per raccontare il territorio e conservarne la memoria. Quella dell’Azienda Agricola “La Sopravvissana”, un’impresa locale di allevamento e vendita di pecore di razza Sopravissana, animale dall’aspetto rustico e al tempo stesso antico, e quella di Nadia, dell’Agriturismo le Castellare di Montemonaco, che durante il cammino, mentre ancora la struttura che gestisce insieme alla sua famiglia era in fase di ristrutturazione, mi ha accolto in casa per bere un caffè, scambiare due chiacchiere e aggiungere un tassello a questo album.

Nomi, volti, paesaggi, colori, profumi, che ho conservato. Ogni ricordo ha la capacità di evocare sensazioni vivide, nitide, fresche, che arrivano alla gola come sgorgassero da una pure sorgente di alta quota.

Curioso come una catena montuosa, barriera naturale per antonomasia, sia in realtà una cerniera, che unisce persone e sentimenti. Un paese ci vuole, come diceva Pavese, non fosse che per il gusto di andarsene via – e di tornarci. E io in ognuno di questi paesi mi sono appropriata di una storia, di una voce, di un sasso, di una foglia, di qualcosa che fosse un pretesto per tornarci e per sentirmi a casa, sempre.

 

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