
Stories by the “Creative Curious Travellers 2016” about the city of Prato. Thanks to: Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci | Camera di Commercio di Prato | USE-IT Prato | LeCù | Fonderia Cultart | Biscottificio Antonio Mattei | Cibino Take Away | Gelateria Fior di Sole | Apothéke Cocktail Bar | Dolci Amari | Caffè Vergnano | Camaloon | The GIRA.
PRATO si trova al centro di una vertiginosa serie di tentazioni per chi ama viaggiare, con famose destinazioni attorno come Firenze, Pisa e Bologna insieme ad altre mete più piccole come Lucca e Pistoia. Se non avessi avuto un’ancora sotto forma di CCT-SeeCity, avrei sorvolato su tutto il territorio, collezionando un mazzo di biglietti di treni e altri trasporti pubblici, desiderando vedere tutto subito e in una volta. Il mio tempo a Prato sarebbe consistito in una visita al restaurato affresco di Filippo Lippi nella cattedrale, un sacchetto di biscotti da Antonio Mattei, una lenta corsa verso il Centro Pecci con l’autobus e poi, senza conoscere l’esistenza della Pasticceria Nuovo Mondo, sarei salita su un treno per Lucca come un fantasma che attraversa la città e spaventa la gente del posto.

Sono arrivata a Prato in treno svegliandomi a tratti davanti a viste oscure, dentro i passaggi a tunnel. Un passo fuori, con viso assonnato e lenta andatura, e vengo quasi investita da una raffica di adolescenti provenienti dal vagone, un inaspettato segnale di vita. Dopo essermi ritrovata miracolosamente sul sedile posteriore di un Ape Calessino, guidata alla mia destinazione, mi sono subito resa conto che stavo sorpassando pastorali viste toscane di ondeggianti montagne verdi e sottili cipressi lungo le strade come colonne etrusche, tutto sparpagliato su un terreno irregolare di periferia tra supermercati, mura medioevali e parcheggi. Mentre l’Ape Calessino saliva lentamente su una collina residenziale, ho visto Prato in lontananza, incorniciata da rami di ulivo.

Il mio primo pomeriggio a Prato, ho trovato la cattedrale principale chiusa e anche molti negozi lo sembravano così ho deciso di fare un tour a piedi auto-guidato, con la mappa USE-IT Prato. Sono finita a combinare un percorso che mi avrebbe portata ad un “luogo panoramico ideale per incontri romantici” ed “una cascata incantata nascosta ai più ma non ai coraggiosi.” Quando ho raggiunto il punto panoramico, qualcun altro era già lì a guardare la vista in basso, un ragazzo pratese del posto fuori per una corsa. Provando maniacalmente a scattare fotografie agli alberi di ulivo e alla città sottostante con le montagne sullo sfondo, ho scoperto che il sole del tardo pomeriggio stava puntando dritto verso la macchina fotografica del mio iPhone come un faro, costringendomi a fare foto periferiche ad alcune nuvole di pioggia sulla destra e ulivi sulla sinistra, ma non davanti.

Il ragazzo fuori per una corsa ha visto la mia patetica situazione e consigliato,
“Devi tornare la mattina presto, quando il sole è dietro di te.”
“Sei un fotografo?” Ho chiesto.
“Faccio foto, ma non di Prato.”
“È tutto chiuso il martedì?”
“No, that’s just Prato.”
Si è poi offerto di identificare tutti i luoghi di interesse. Ha indicato una torre che non ho potuto riconoscere, mi ha detto i nomi di diverse montagne, e ha detto che in lontananza c’era Pistoia, l’arcinemico dei pratesi. Ho pensato che tutto questo fosse grandioso ma io ero in missione per trovare una cascata, per Rio Buti. Ho tirato fuori la mia mappa USE-IT e gli ho chiesto come avrei potuto raggiungere Via del Canneto, la strada che per un pezzo conduce alla cascata. Ha guardato la mappa e detto che non aveva mai sentito parlare di questa strada, ma che forse l’aveva vista. Tuttavia, ha riconosciuto Via Filettole e ha detto che era la strada sotto di noi. Ha visto che avevo una guida su Prato nella mia borsa e si è offerto di consigliarmi i posti migliori. Mentre sfogliava il libro, ha trovato una chiesa che avrei dovuto visitare, bella dentro ma brutta fuori, chiamata Chiesa di San Domenico.
La sua storia fu qualcosa del genere. Aveva appena finito gli studi a Firenze ed era grato di non dover più prendere il treno, avanti e indietro tutti i giorni, come aveva fatto per cinque anni. Potevo sentire la noia faticosa del pendolare nella sua voce e dopo averlo sperimentato per la prima volta quello stesso giorno, ho dovuto ammettere che era un lento treno di 20 minuti. Aveva studiato legge ma non era interessato in diritto penale o civile, rimaneva solo giudiziario, ma la sua voce era come se stesse parlando ancora da pendolare. Non sapendo come indirizzarmi alla cascata, mi ha indicato un passaggio in mezzo ad un uliveto e poi ha proseguito per tornare ad occuparsi un po’ di legge. Quel giorno ho avuto l’esperienza del mio primo tramonto camminando giù per Via dei Cappuccini, con lampioni e cipressi come silhouette.


Via Giuseppe Garibaldi è diventata il mio punto di ingresso al centro della città e mi sono ritrovata spesso a camminare su e giù per questa strada. Devo essere passata davanti alla Pasticceria Nuovo Mondo diverse volte prima di notare dalla vetrina un vassoio pieno di dolcetti a forma di pesca. Ma nemmeno questo era bastato a farmi fermare ed entrare, ho dovuto leggere del suo status di celebrità sulla mappa USE-IT per tornare indietro e comprarne uno. Provenendo dallo Stato delle pesche (Georgia – USA), mi sono sentita come se avessi trovato la pesca commestibile per la mia pesca simbolica.
Sebbene lo Stato della Georgia sia noto per le sue pesche, io non ho mai visto un albero di pesco. Vivendo nelle periferie di Atlanta, l’unico posto dove troverai un albero di pesco è su un cartello di strada o autostrada leggendo Peachtree Drive, Peachtree Boulevard, Peachtree Lane, Peachtree Street, Peachtree Center, Peachtree Plaza, Peachtree Circle, Peachtree Walk o Peachtree Road e la lista potrebbe continuare fino ad un totale di 71 varianti di nomi di strade con la parola “Peachtree”. Poiché il nome “Peachtree” (albero di pesco) era così comune, in realtà sono cresciuta ignorando le pesche. Ho sempre trovato il frutto ingombrante da mangiare e il nocciolo di pesca incredibilmente brutto. La sua pelle poi diventava livida troppo facilmente e al tatto dava quella strana sensazione pelosa. Il sapore era allo stesso tempo troppo dolce e troppo aspro.
Ho portato la mia pesca pasticcera sui gradini del Duomo di Prato e ho ammirato la sua forma graziosa. La pesca era composta da due brioche rotonde a forma di cappello di fungo, tenute insieme da una crema gialla. L’esterno era glassato, lucente e cosparso di zucchero, e una piccola frutta candita fingeva di essere un gambo. Ho dato un morso e sono rimasta sorpresa dall’interno rosso e dal forte sapore di alcol che più tardi avrei scoperto essere liquore Alchermes. La miscela di giallo e rosso e l’idea del colore della pesca hanno cominciato a formare la mia immagine di Prato così come la mia passata relazione storica con la parola pesca ha iniziato a fondersi con la presente pesca pasticcera.

Il giorno dopo, quando sono andata a vedere la mostra inaugurale e forse finale di Fabio Cavallucci al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, intitolata La fine del mondo, il colore della pesca era nella mia mente. La mostra giocava con il concetto di tempo, stringendone e poi espandendone la nostra comprensione così che appena salivi le scale, guardavi dritto alle facce confuse di due antenati preistorici che rispecchiavano la tua propria curiosa espressione. I telefoni cellulari erano incastrati in recenti formazioni geologiche di rocce cristalline e la conoscenza dell’ambiente costruito era retroceduta al cavo di un albero. Una serie di immagini di Olafur Eliasson, Andy Warhol e Hiroshi Sugimoto, presentavano linee d’orizzonti con tramonti nascenti, cadenti o assenti. C’erano così tante superstar dell’arte contemporanea, che pezzi di Francis Bacon e Marcel Duchamp erano stati relegati in un piccolo angolo.



Cercavo opere in mostra che alludessero alla città o alla regione, ma la cosa più vicina che ho trovato era un modello-giocattolo della Torre pendente di Pisa su una mensola in Quarantine di Robert Kuśmirowski. L’unica cosa che mi ha ricordato di Prato – che avevo visto e vissuto – sono stati i colori della serie Sunset di Andy Warhol, in particolare la versione gialla e rossa, i colori delle pesche di Prato, il dolcetto più grazioso che avessi mai visto.
Ancora su Prato e i suoi alberi nel blog di Johanna Juni Lee: