Linea 2, Parigi, Mondo

PARIS La linea 2 della metropolitana di Parigi è la sola riga blu presente nelle intasate cartine dei mezzi di trasporto della città. Seconda per anzianità essendo stata creata nel dicembre del 1900, questa tratta è però molto più di un semplice segmento metropolitano. Il percorso parte da Porte Dauphine, ad ovest, e seguendo un andamento prima ascendente, poi lineare e infine discendente termina a Place de la Nation, ad est, servendo in totale 25 stazioni. È quindi innanzitutto un viaggio nella città, già solamente per il fatto che tocca ben dieci arrondissements, la metà esatta dei venti totali. Ma è soprattutto un’improvvisa e inaspettata immersione in tre differenti universi perfettamente incastrati in poco più di 12 kilometri che appaiono e scompaiono dai finestrini dei vagoni seguendo il percorso del convoglio. Un itinerario spazio/temporale che penetra la città e la sua evoluzione urbanistica, storica e sociale: parte dalla Parigi chic dei grandi edifici ottocenteschi per poi passare alla colorata e vivace Goutte d’Or africana ed arrivare infine alla maghrebina e orientale Belleville. È la transcontinentale dimensione urbana, che permette all’ovest, al sud e all’est del mondo di convergere in unico centro mobile fatto di rotaie e vagoni, sedili e porte scorrevoli. Un punto di vista al tempo stesso pratico e privilegiato da cui intraprendere questo rapido giro del mondo.

Paris_Metro_Ligne_2

Il viaggio inizia ad ovest, nei quartieri aristocratici per eccellenza. Gli arrondissements 16eme e 17eme sono le vetrine del lusso parigino: i palazzi si innalzano imperiosi protetti da austeri portoni in legno scolpito e fregiandosi degli intarsiati balconi in ferro battuto che non di rado si trasformano in signorili logge arcate. I tetti, naturalmente, in ardesia. Ai loro piedi sono incastonate piccole piazze a forma circolare puntualmente ornate con alberi e aiuole che fanno da contrappeso alla maestosità degli edifici. Sono spazi che rimangono semplici luoghi di passaggio, mai di incontro o di ritrovo, per non turbare la quiete e l’ordine che regolano la vita di queste zone. Nelle strade si respira infatti un silenzio surreale, come se qualcosa stesse per accadere da un momento all’altro. E invece tutto si mantiene assolutamente calmo e all’apparenza immobile: non un brusio, non una voce, non un grido. Gli stessi bambini che giocano nei sentieri del Parc Monceau sembrano amalgamarsi alla tranquillità generale, soffocando la propria vivacità con un’eleganza già adulta. Attorno a loro passeggiano lentamente coppie di anziani, premurosi custodi di quelle norme e di quei ritmi che da secoli sono i tratti peculiari del feudo aristocratico di Parigi. Le cui regole vengono rispettosamente seguite anche dalle boulangeries, che se non fosse per l’odore caldo e fragrante del pane continuamente sfornato potrebbero essere scambiate per piccoli musei, e dai venditori ambulanti di frutta, che nelle immediate adiacenze delle stazioni della metropolitana dispongono con una cura maniacale la merce su piccoli tavoli, facendo attenzione perfino agli abbinamenti cromatici dei propri cimeli. A spezzare improvvisamente questo incantesimo ci pensa il chiassoso e affollato viale degli Champs Elysées, percorso ogni giorno da centinaia di turisti ai quali offre come principali attrattive le più conosciute catene mondiali di negozi, ristoranti e fast food. Ma è solo una strada, un’interruzione, un unico grande rumore: girato nuovamente l’angolo ecco che si ritrovano gli stessi silenziosi protagonisti intenti a proseguire le loro meticolose attività.   

Il primo tratto del percorso della metro n.2 segue una linea diagonale, di cui Place de Clichy è il vertice alto. Questo trafficato slargo segna un vero e proprio spartiacque tra due mondi, che risulta evidente anche se non si scende dal vagone. A partire da questa fermata, infatti, si assiste ad un progressivo mutare della tipologia delle persone che si avvicendano mano a mano che il convoglio procede nella sua traversata orizzontale fino a Stalingrad: colore della pelle, abbigliamento, accento della lingua, tono della voce, odori e profumi sono i segni distintivi che danno la percezione, anche nei tratti sotterranei, dei radicali cambiamenti esterni. Appena quattro arrets e si giunge infatti nel cuore dell’Africa: è la Goutte d’Or. L’uscita della fermata Barbès-Rochechouart su Boulevard de la Chapelle coincide con l’ingresso in un affollato bazar all’aperto dove vestiti e oggetti vari sono venduti direttamente a terra e attorno ad ogni “stand” si creano fitti capannelli di persone che ostacolano il transito, mentre ai lati della strada contrabbandieri di sigarette e profumi fanno a gara per inseguire i passanti al grido di “Marlboro” e “Chanel”. Nell’isola pedonale al centro del boulevard si tiene invece il mercato ufficiale specializzato in generi alimentari i cui modici prezzi vengono urlati dai venditori. La prima impressione è quella giusta: una grande confusione colorata pervade tutta quest’area. Boulevard Barbès, lo stradone di scorrimento che taglia il quartiere, è percorso in qualsiasi momento della giornata da famiglie, anziani e ragazzi che camminano apparentemente senza uno scopo, anche solo per il gusto di occupare gli spazi. Ancora meglio, poi, se questo avviene comodamente seduti a bere un tè su un divano trascinato nel bel mezzo della via. Ed ecco poi inevitabilmente riempirsi i bar e i ristoranti della zona, tutti rigorosamente spartani e anche un po’ sporchi, al cui interno vengono sfoggiate con grande orgoglio le bandiere dei differenti Paesi africani di provenienza: Senegal, Costa d’Avorio, Togo, Guinea, Camerun, Gabon. Gli stessi Stati le cui valute sono disponibili nei molteplici uffici di cambio o le cui capitali possono essere raggiunte prenotando un volo in una delle tante agenzie di viaggio specializzate presenti nella strada. Al loro fianco, in rapida espansione, i parrucchieri, tutti ovviamente in stile black: le chiome crespe vengono allungate, stirate, piastrate quando non radicalmente cambiate, tutto al suono di una trascinante musica reggae e hip hop. E ancora le catene di negozi che vendono articoli specializzati nella cura della pelle nera, in modo particolare le taumaturgiche creme dal miracoloso potere di schiarirla.

Altro tratto dominante sono i colori. La Goutte d’Or è una vivace espressione cromatica che esplode in ogni suo angolo: agli sgargianti abiti da matrimonio, giallo canarino o verde smeraldo per lui e viola acceso o arancione mandarino per lei, esposti nelle vetrine dei negozi di abbigliamento risponde la profumata frutta proveniente direttamente dall’Africa e sistemata nei banchi del mercato alimentare di Château Rouge. Pochi metri dopo campeggiano le inconfondibili insegne blu e rosa dei grandi magazzini Tati, la mecca dell’abbigliamento low cost, presenti già dalla fine degli anni Quaranta in concomitanza con l’espandersi dei flussi migratori verso quest’area. Con il passare degli anni il negozio è diventato un vero e proprio colosso al punto da espandersi in più edifici, collegati tra loro da passaggi sopraelevati che non possono che essere di tinta blu e rosa. Al loro interno si ritrova la stessa confusione delle strade limitrofe, espressa qui dai capi ammassati in maniera disordinata e amplificata dalla ripetitiva voce dell’altoparlante e dalla frenetica scortesia degli stressati commessi.

I colori sono impressi anche sui muri: gli anonimi palazzi bianchi sono stati rivitalizzati da vivaci murales che riproducono i paesaggi africani o che lanciano messaggi di pace e convivenza attraverso la raffigurazione di colombe e di tante sfere dalla diversa cromatura. Vicino ai bar e agli altri punti di ritrovo dominano invece il giallo, il rosso e il verde nei disordinati manifesti che pubblicizzano dance hall e serate reggae, che proprio in questa zona trovano la maggior parte dei proseliti. E se anche il più distratto dei visitatori non si accorgesse di questa diffusa policromia, ecco la scritta “Regarde les couleurs”, disegnata sulle pareti di una scuola, a ricordare che quello della Goutte d’Or è un universo allegro e colorato.

Ecco però che a partire da Place de Stalingrad tutto cambia di nuovo all’improvviso. Andando a piedi si varca il Canal St Martin, facendosi strada tra i ragazzi che riempiono i quai con l’occorrente per un perfetto picnic; sottoterra la metropolitana inizia la propria discesa verticale verso Nation. I colori dell’Africa lasciano spazio ai sapori e agli odori mediorientali: siamo a Belleville. Antico villaggio operaio, a partire dagli anni Sessanta ha accolto le comunità arabe fuggite dai propri Paesi di origine nel corso del duro processo della decolonizzazione. Il centro nevralgico del quartiere è il lungo asse costituito da Boulevard de Belleville e Boulevard de Menilmontant, un unico grande viale che due volte alla settimana ospita un variegato mercato alimentare che riflette nei banchi il melange culturale della zona: uova, frutta, verdura e formaggi tipicamente francesi sono infatti affiancati da datteri, frutta secca, erbe e spezie di provenienza maghrebina. Le cantilene dei venditori, metà in francese e metà in arabo, rimbalzano da un banchetto all’altro; sparse nella folla molte donne arabe, che si aggirano tra gli stand indossando variopinte tuniche i cui ricami in oro o argento ne accentuano la luminosità. Semplice e gustosa la regola che vige in mezzo a questa esplosione di profumi: assaggiare prima di comprare! Così tra una risata con un allegro anziano tunisino e una chiacchierata con un logorroico ragazzo algerino ci si ritrova improvvisamente con le buste piene di ingredienti per preparare un cous cous di verdure o un tajiin di carne.

La coinvolgente allegria del mercato sparisce però una volta lasciato il viale. Le ripide stradine che salgono, scendono, si intersecano e si arrampicano sulla collina di Belleville sono tranquille e silenziose, di aspetto anche un po’ tetro una volta calato il buio. Non a caso sulla terrazza del parco alla sommità dell’altura c’è la Maison de l’air: l’aria e il vento, gli elementi che avvolgono il quartiere annullando ogni possibile rumore, anche la musica rai che si sente provenire di tanto in tanto dalle finestre degli anonimi palazzoni bianchi presenti. Ai tavolini dei caffè siedono piccoli gruppi di soli uomini o di sole donne intenti a gustare té alla menta che sgorga dalle teiere rigorosamente in argento, mentre le semivuote librerie islamiche sono tutte ornate con i ritratti dell’ayatollah Khomeini. Completano la cornice le macellerie halal di carne di montone e cavallo e le pasticcerie specializzate nella produzione di dolci alle mandorle e al pistacchio.

Le mura del cimitero Perè-Lachaise segnano anche la fine di Belleville. Passano altre due fermate e la metropolitana termina la sua corsa in uno dei luoghi che più di ogni altro rappresentano lo Stato transalpino: Place de la Nation, lo spazio dove durante la Rivoluzione venivano eseguite quelle ghigliottine da cui nacque appunto la Francia come nazione moderna. Una nazione capace oggi di sintetizzare al proprio interno culture e diversità, usanze e tradizioni, Africa e Oriente.

* photo credits:
Porte Dauphine, Metropolitain
Place de la Nation, Metropolitain

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