Il Fintocolto a Bari

Walter Tripi | Il Fintocolto

Quando il Fintocolto viaggia, viaggia per crescere e ispirarsi. Dopo aver ricercato una guida adatta – poco costosa, completissima, piena di ciò che esso già ritiene di sapere e vuole solo sentirsi ripetere – cade su una Lonely Planet: costosa, completissima, piena di un sacco di cose che non sa e non leggerà, perché quando il Fintocolto va in una città già la conosce. Ha sentito parlare dei colori, del meteo, delle feste, delle usanze, dei prezzi, dei profumi. Li conosce e vuole soltanto conferme. Sa già che lo ispireranno, tanto che potrebbe ispirarsi direttamente da casa. Ma viaggiare, si sa, è cosa troppo bella…

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Partendo per Bari, il pensiero del Fintocolto non pugliese (NB: accertarsi che Bari sia in Puglia prima della pubblicazione) si volge a potenziali negozi nei quali sia possibile reperire giubbotti anti-proiettile. Non è una questione di pregiudizio, davvero. É che a vedere Cassano in volto non vengono in mente sonetti o madrigali. Rinunciato all’acquisto per penuria pecuniaria, il Fintocolto si accerta rispetto alle bellezze che la città pugliese sarà capace di offrire ai suoi curiosi, attenti, consapevoli occhi.

Dopo una prima rapida ricerca, avrà scovato soltanto attrazioni – in numero di cinquantasei – contenenti il nome Nicola nella propria denominazione. Segnate le più importanti, sarà pronto a partire, chiuso in quel solito involucro di paura e gioia nell’aspettativa di aprirsi a una città nuova, questa volta del sud. Il sud: così bistrattato per l’inciviltà, l’immoralità, la vecchiezza degli usi, la sporcizia, l’incapacità a immaginarsi nel domani.

E invece succede il contrario: il Fintocolto scende in un aeroporto nuovissimo, bianco come le migliori speranze. Ovunque trova le scritte che ricordano il contributo europeo alla nuova costruzione: pare che il sud Italia sia meglio considerato e sostenuto all’estero che nella nostra bella e civilissima patria. Buon vecchio Junker. Tutto risulta perfettamente organizzato: scale mobili scintillanti, cartellonistica impeccabile, signorine dalla bellezza mediterranea – ammesso che esista una bellezza mediterranea e non semplicemente una bellezza – pronte a dare indicazioni e aiutare il prossimo nelle biglietterie automatiche con intransigente touchscreen.

La sorpresa non finisce: uscito dall’aeroporto, il Fintocolto si immerge immediatamente in un treno che lo porterà in centro città. Senza sforzi, senza doversi trascinare per chilometri con la Nikon al collo. Nuove scale mobili scintillanti, nuove postazioni senza un filo di polvere, senza alcuna scritta, senza nessuna gigantografia di Sergio Rubini su nessuna seduta del treno, anche questo nuovo e comodissimo.

Si è ribaltata l’Italia, evidentemente. Il Fintocolto è entusiasta: durante i venti minuti che lo distanziano dalla Stazione Centrale posa le pistole giocattolo, butta via i coltellini di plastica, strappa i cartelli con inciso “per piacere, sono povero”, toglie all’iPhone la custodia che lo faceva sembrare un panino con cotoletta, toglie finalmente dalle mutande le poche centinaia di euro che aveva deciso di portarsi dietro, immettendole finalmente nel portafogli carico soltanto di Oki e una Postepay troppo utilizzata. Poi arriva.

Giunto alla stazione centrale viene accolto da una scala mobile non funzionante: un caso, evidentemente. Un guasto momentaneo. Carico delle migliori attese, pronto a scrivere su Facebook una rigogliosa filippica rispetto al pregiudizio e la bellezza del nostro sud, quasi convinto a chiedere alla Regione (sia quella di appartenenza che quella pugliese) un contributo per un proprio trasferimento nella regione del tacco, quasi certo di iscriversi a SEL e di finalmente coronare il vecchio sogno dell’orecchino, sognando di avere anche la zeppola, il Fintocolto esce dalla stazione.

E recupera dalla tasca anteriore del Trolley Carpisa la pistola finta. Dalla luccicanza delle strutture appena abbandonate passa all’abbandono di quelle appena trovate. Chiede informazioni per il nessuna-stella-ma-buoni-commenti-su-trivago prenotato e a rispondergli c’è una mitraglietta dalle lunghe vocali finali. Solitamente finisce in -eeeeut, le proprie parole. Chiede di nuovo informazioni, sperando in una maggior comprensione. -eeeut. Niente. Comunque sono tendenzialmente tutti simpatici e disponibili. Però -eeeut anche in albergo. Il tentativo ovvio è quello della passeggiata di conoscenza e benvenuto.

Abbattuto dagli sguardi di sfida di una decina di bambini delle scuole elementari, particolarmente sicuri di sé, il Fintocolto entra in Bari vecchia dalla bella Piazza Ferrarese e già l’immagine è più simile all’aeroporto. Con molte meno vocali, s’intende, almeno a ascoltare le voci d’intorno. La sensazione di essere costantemente circondato da orde di Lino Banfi dei tempi d’oro non lo abbandona mai. Mai. Entro la fine della vacanza, anche lui batterà più volte il palmo della propria mano sulla testa per effettuare una qualunque affermazione.

Nonostante questo, di Bari resta addosso soprattutto l’odore: è una salsedine strana, quella di Bari. Si sente dalle mura della città vecchia, che guardano verso il lungomare di uno stile fascista acceso dai pesci vivi chiusi in piccole scatole piene d’acqua salata, in attesa di essere comprati, e dalle voci alte di chi li vende. -eeeut.

É una salsedine forte e grassa, proprio come il vino di Puglia. Passa dalle narici a quei mattoni bianchi e inscuriti più o meno come le nostalgie che il Fintocolto in viaggio riesce sempre a coltivarsi addosso, emozionandosi inconfessabilmente anche per le terribili, inguardabili, indecenti scritte Moccia-Style che deturpano quelle mura bellissime. Un bimbo bello romanticone. Anche al sud, a quanto pare, i ragazzi soffrono un sacco per amore.

A questo punto, il Fintocolto ha già la testa alle orecchiette: d’altronde, è risaputo, la fotografia Instagram a quel piatto avrebbe lo stesso valore immancabile di una London Calling condivisa da Youtube prima di partire per l’Inghilterra. Nonostante nella carica mente del Fintocolto i baresi siano un popolo affacciato su un mare di cime di rapa, occupato per la grande parte della giornata a chinarsi su quel mare e suggere forza in stile Popeye, non è poi così facile trovare un buon piatto simile, fatto davvero come si deve, anche in Bari vecchia.

Anche perché il Fintocolto, un po’ sbadato e un po’ tonto com’è, sarebbe capace di non trovare un fast food a New York. Nella strenua ricerca, con il pancino che già si rimprovera adattandosi al contesto (-eeeut), il nostro si perde piacevolmente nella parte più barese della Bari vecchia, in quelle minuscole strade che esistono davvero e esistono proprio in Italia, cariche di panni stesi come fossero bandiere di una città fiera di essere se stessa. Strade che sono da percorrere per intero, per forza: solo in fondo si capisce, infatti, se termineranno in una strada più grande, in una corte interna carica di voci o nel niente. Nel secondo caso, gli occhi interrogativi e vagamente minacciosi si alternano a quelli più disincantati e dolci degli anziani. Sembrano dire: -eeeut. Per ogni evenienza, il Fintocolto torna indietro.

Trovate le orecchiette, azzardata la brasciola e poi un dolce dall’ignota origine – il Fintocolto, sul dolce, non transige: non esiste tipicità. Ha i suoi, punto e basta – l’occhialuto dalla pancia piena si lascia andare a un’ultima passeggiata su quel lungomare pieno di Istituzioni e pescatori, di corridori di ogni età che schivano gli ami, e di bambini che sembrano d’apparenza conoscere molto meglio il proprio presente della maggior parte delle borse da lavoro che da lì passano.

Anche questa volta, non c’è pregiudizio che tenga: non passano le giornate a mangiare orecchiette. Anche questa volta, al Fintocolto rimarrà quella strana sensazione di un tempo che passa e si trascina come un vento strano tutte le polveri delle mode, della bellezza, del truzzo e della cravatta da ufficio, spargendole un po’ ovunque: il Fintocolto del nord si stupisce. Hanno un sacco da fare anche qui. E lo fanno, nonostante Cassano.

Ci sono le cose che poi sono più belle di notte: Castello Svevo, ad esempio. Ma il Fintocolto mica si fida ancora: all’ora di cena è già nel suo alberghetto a prendere appunti su un copriletto ipertricotico. Tornando verso casa, anche stavolta racconterà di questa strana “gente del sud”, come se in fondo non avesse visto gli stessi identici personaggi che girano sotto casa sua ogni lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica. Per carità, con qualche valida differenza linguistica. -eeeut.

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