Walter Tripi | Il Fintocolto
Il Fintocolto si muove nella città con lo sguardo disdisinteressato (e non è un errore di battitura) di chi sa di essere qualcuno, nonostante sia un qualcuno ma qualunque. Con la pessima abitudine di proiettarsi ben oltre i propri successi, comunque inconfessatamente inevitabili, il fintocolto zompetta col piede carezzevole del poeta che batte l’innocenza del proprio dono ma con la sicurezza viscerale del generale, in generale. Certo, l’occhio deve essere vigile e soffermarsi sui particolari della città che solo un prescelto dalla Conoscenza può notare, divenendo Uno e Strino, nel senso di ben pettinato e agghindato dalla propria saggezza: l’ossessività della finta pietra davanti al tabacchi, quel volantino che si lascia trasportare dal vento, quel ramo del lago di piscio di gatto che inonda la vera pietra del centro storico. Con movimento catartico, il fintocolto si sistema gli occhiali e inventa una poesia orrenda – che poi tanto parlerà comunque d’amore – continuando a camminare tra vie e retrovie di cui non conosce praticamente niente, ma che giudica a ogni setosissimo passo.