Lo Sgabellino dice: facciamo gli Italiani!

Elena Mazzoni Wagner

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BOLOGNA «Facciamo gli Italiani!» grida qualcuno nel mezzo di Piazza Maggiore. Questo sabato pomeriggio, come tutti gli altri e come tutti i giovedì mattina, un piccolo sgabello a quattro gambe di plastica bianca, passa dai piedi di una persona all’altra. Chi ci sale sopra ha il diritto di dire tutto ciò che vuole. Non di rado avvengono vere lezioni di Politica, Storia, Filosofia, …ma soprattutto di Educazione Civica. Uno Speaker’s Corner made in Italy”, insomma. E infatti penso subito a quello famoso di Hyde Park. Invece che nell’angolo nord-est di uno dei parchi più grandi di Londra, in pratica a Marble Arch, ci troviamo sul “Crescentone” (così chiamano i bolognesi questa area pedonale e la sua bella pavimentazione). Difficilmente chi lo attraversa sfugge all’invito, magari provocatorio, di salirci sopra. E chiunque può intervenire. Io mi nascondo dietro alla gente che ascolta e partecipa al dibattito, odio parlare in pubblico. Ma non posso sottrarmi a questa magnifica esperienza di civiltà. Mi dicono che è un appuntamento fisso a Bologna. Sono più di vent’anni che quell’uomo, col berretto di lana ben ficcato in testa e sottobraccio qualche quotidiano arrotolato, dirige questa assemblea. Ormai è co-gestita e avviene anche in sua (rarissima) assenza ma l’idea è tutta del sessantenne Ferdinando Pozzati Piva che con grinta e ammirevole tenacia dirige in modo socratico il pubblico confronto, spronando le voci e soprattutto le menti di tutti i partecipanti e passanti per fare la “rivoluzione”. Alcuni lo prendono in giro («Pozzati! Sei qui da vent’anni ma cosa hai fatto? È cambiato qualcosa?») ma libertà, patria e democrazia sono belle parole. E “vederle” in vita, non solo dette o scritte, è già un cambiamento. Ed io in quel fortuito incontro mi sono sentita Cittadina d’Italia. Con orgoglio.

* LONDON, Hyde Park Speaker’s Corner: la domenica mattina, le persone che vogliono esprimere la propria opinione (su qualsiasi tema) possono venire qui e parlare ad ascoltatori più o meno attenti, passanti incuriositi, turisti. Gli oratori salgono su sedie, sgabelli o scale pieghevoli per farsi notare e sentire dal pubblico. Questa usanza deriva da una norma della Common Law inglese, che permetteva in questa parte del parco di esprimere liberamente il proprio pensiero, a patto di staccarsi dal suolo britannico (con sgabelli o quant’altro).

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Lo Sgabellino ha una pagina facebook ma sembra non essere aggiornata da tempo. Nella sezione About si possono comunque trovare tutte le info utili e sapere esattamente dove e quando avviene l’assemblea:

L’appuntamento fisso è tutti i
– Giovedì a Bologna in Piazza Maggiore (sul crescentone) dalle ore 11.00
– Venerdì a Padova sul Listón di via VIII Febbraio dalle ore 15.00
– Sabato a Bologna in Piazza Maggiore (sul crescentone) dalle ore 15.00

Lo sgabellino lo troverai nei siti segnalati con intorno delle persone che a turno ci salgono e discuttono, aspettiamo anche te. Le regole sono semplici: si parla a turno, l’assemblea ascolta, tutti hanno diritto ad intervenire, si cerca di rispettare le buone norme di educazione e comunque ogni partecipante all’assemblea è garante dell’ordine pubblico all’interno di essa.

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Ferdinando Pozzati Piva (classe ’52) è filosofo – ha dato tutti gli esami universitari di filosofia ma mai la tesi «perché laurea in filosofia è davvero una contraddizione in termini»e aspirante rivoluzionario: «Il mio modello è la democrazia competitiva» sostiene. Ex-iscritto al PCI (Partito Comunista Italiano), ha lasciato quell’impegno subito dopo aver constatato come gli ideali nella politica ufficiale siano solo delle parole vuote. Contrario ad ogni tipo di violenza, è preparatissimo e delude bene chi lo ritiene un semplice radicale di sinistra: «I miei riferimenti sono Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli. E Karl Popper, nonostante lui non andasse nelle piazze a parlare».

Pozzati è il cognome della madre a cui Ferdinando è molto più affezionato che al padre. All’anagrafe il cognome è Piva: quattro generazioni fa, una delle famiglie più importanti di Comacchio (città in provincia di Ferrara). «Le due che vennero prima di me scialacquarono gran parte della ricchezza, ho avuto una vita un po’ travagliata, i miei andarono in Svizzera e giovanissimo fui adottato da parenti che mi fecero studiare e mi diedero l’opportunità di girare un po’ per il mondo». Poi comincia l’attività di noleggiatore di pedalò a Lido degli Estensi (una località balneare della provincia di Ferrara appartenente ai sette Lidi di Comacchio). «Un lavoro che mi lasciava un sacco di tempo libero, ero occupato praticamente soltanto durante le vacanze degli altri». Sposato ma separato e padre di una figlia, Pozzati abbandona tutto quando compare la mucillagine nell’Adriatico. «Il segnale – racconta – di una società che mandava in malora, un comportamento umano quello di distruggere il mare che per me è stato come una molla».

Così dagli anni ’80 inizia a girare per le piazze col suo sgabellino. E se si pensa che il confronto in piazza, in Italia, è in pratica fuori legge (parlare in piazza è un reato punito dal Codice Penale con l’Articolo 654) allora si tratta di un vero atto e movimento rivoluzionario.

Articolo 654. Grida e manifestazioni sediziose. Chiunque, in una riunione che non sia da considerare privata a norma del n.3 dell’Articolo 266, ovvero in un luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico, compie manifestazioni o emette grida sediziose è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a un anno.

E Ferdinando infatti è anche ex-galeotto. Si è fatto quasi due anni di galera a Ferrara, anni che lui dice di aver passato benissimo: «vitto e alloggio gratis, e tempo per leggere un sacco di libri». Una pena scontata per aver occupato un suolo pubblico e soprattutto per vilipendio, o frasi ritenute tali, nei confronti dei Presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Un anno e un mese di galera per il primo, otto mesi per il secondo. «E la terza volta ci andrò per Giorgio Napolitano perché rivendico la libertà di dire loro quello che penso. Il vilipendio, reato nato in pieno fascismo conservato intatto fino ad oggi, qualifica non tanto di me, quanto più la nostra cittadinanza politica». Il tribunale di Ravenna ordina, prima ancora di iniziare il processo, una perizia psichiatrica. «A spese dei contribuenti – continua Piva Pozzati – da cui sono risultato sano di mente. Ma è chiaro, si sono trovati di fronte uno che diceva che in carcere ci voleva andare eccome. Per me la galera era come una sfida, mi avrebbe dato credibilità ai miei stessi occhi. Mi ha tagliato di netto gli affetti famigliari e per chi avevo attorno non è stato per niente facile, ma il tantissimo tempo che si ha disposizione per stare sui libri lo ricordo ancora con piacere». Mai imprigionato invece per evasione fiscale. «É disobbedienza civile – spiega – io non pago le tasse ad uno Stato che usa questi soldi per mandare soldati in missione piuttosto che per garantire servizi, poi vado dalla Guardia di Finanza ad autodenunciarmi». Scelta che a Pozzati è costata il pignoramento di tutti gli averi. «Ora risulto nullatenente, il Fiorino è intestato al mio vicino di casa. Ho una piccola rendita che mi permette di non lavorare e di starmene isolato a leggere tutto quanto il giorno».

Il carcere non lo ha quindi calmato, anzi, e da ormai oltre vent’anni ha un appuntamento fisso con i cittadini di Bologna: ogni giovedì mattina e sabato pomeriggio, lui e il suo sgabellino animano Piazza Maggiore. Inoltre, ogni venerdì pomeriggio è invece a Padova, sul Listón (parola veneta che indica l’area pedonale, da passeggiata, nei centri urbani) di Via VIII Febbraio di fronte allo storico Caffè Pedrocchi. Non a caso, Ferdinando ha scelto due città universitarie come piazze di «confronto tra saperi». Durante le assemblee, ai fedelissimi si aggiungono sempre i curiosi che passano di lì per caso e decidono di fermarsi ad ascoltare e parlare. Il suo intento è stimolare un dibattito pubblico, risvegliare le coscienze di quelli che dovrebbero essere i Cittadini e che invece sono «un popolo terribilmente conformista e, dunque, servo». Lo Sgabellino è lì per invitare alla rivoluzione ragionata e non violenta, per ricordare che la sovranità appartiene al Popolo.

«Ciascuno di noi è padrone di se stesso. Ho fatto tanti errori anch’io, all’inizio ad esempio andavo con il megafono, ma così facendo imponevo una mia autorità. E invece no: c’è solo lo sgabellino e chiunque può salirci sopra. La cosa più difficile è ascoltare gli altri. Questo Paese sarà migliore quando non servirà più un moderatore. Il mio è solo un piccolo seme. Ma prendiamoci le piazze e cominciamo a parlarci. Questa è la comunicazione».

Fonti:
Deserti Blu
Pozzati, il filosofo di via Zamboni a Bologna (24 Giugno 2009)
di Claudio Ossani
Con Altri Mezzi
La rivoluzione dallo sgabellino (23 febbraio 2011)
di Alessandro Bampa

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Pubblichiamo infine un’intervista molto interessante fatta l’11 febbraio 2010 a Ferdinando Pozzati Piva da Mauro Giordano per “La Stefani”, il settimanale della scuola di giornalismo di Bologna.

Quando ha iniziato con le assemblee in piazza? «Alla fine degli anni Ottanta, quando c’è stato il caso delle mucillagini nell’Adriatico. In quel litorale ho lavorato per anni. Quelle condizioni di distruzione dovute all’uomo mi hanno convinto ad assumere un ruolo pubblico che portasse a un nuovo risveglio civico. A trasformare dei sudditi in cittadini».
Bologna è una città di sudditi o di cittadini? «Su Bologna ho poco da dire. Semplicemente non è più una città. Un luogo dove ognuno guarda solo al proprio tornaconto non può definirsi città, è un centro commerciale. Bologna è un grandissimo centro commerciale».
Quindi tanti anni di parole non hanno ottenuto dei risultati? «Forse pochi ma non mi fisso grandi obiettivi. Per me lo sgabello è un emancipatore civico, confido nella forza del dibattito pubblico. In realtà credo di dover migliorare anch’io».
Ha mai avuto ambizioni politiche? «Il problema non sono i governanti ma i governati. Il vero problema è creare cittadini. Non ho mai pensato di candidarmi a elezioni politiche. Quello che faccio lo dovrei fare nella sede di un partito politico, ma non posso, ormai sono organismi chiusi. Lo devo fare in piazza, tra l’altro “clandestinamente”, non ho permessi».
I partiti: una vera e propria casta? «La democrazia è fondata sul controllo. I cittadini possono punire alle elezioni i politici che non meritano la loro fiducia. Purtroppo le alternative non esistono e continuiamo a tenere in vita la casta. La casta è una fotografia di famiglia, la casta siamo noi. (…) Tendenzialmente sono un forcaiolo e ho sempre ritenuto che la colpa non sia di chi ruba ma di chi si fa rubare».
La critica alla politica le ha causato anche guai con la giustizia. «Io sono laureando in filosofia. La vera laurea me l’ha data il periodo in carcere a Ferrara, due anni in tutto. Da un’altra condanna sono stato risparmiato dall’indulto. Io ci tengo a finire in galera ma sono stato indultato di autorità. Questa è l’Italia».
Che accuse le sono state mosse? «Occupazione di suolo pubblico, vilipendio nei confronti del Presidente della Repubblica, perseguimento di disegno criminoso. Considera che alla mia prima esperienza a Reggio Emilia, dopo quindici minuti che montavo mi portavano in caserma. Dopo che finisci in carcere torni in piazza con una credibilità diversa».
Una ricetta per creare coscienza morale? «È una ricetta semplicissima. Scuola ed educazione, la mancanza di cittadini è dovuta al declino culturale. Una scuola ben fatta crea cittadinanza attiva. Chi è in condizioni di potere è sempre tentato da voglie dispotiche. Chi controlla non vuole cittadini, vuole vermi. L’informazione potrebbe aiutare a evitarlo».
Quali sono le colpe del mondo dell’informazione? «La televisione ha delle colpe gravi, ma non tutte le colpe. È evidente che in Italia non ci siano le condizioni adatte per fare un buon giornalismo. In Italia ci si sente condizionati dal proprio editore. Più in generale un problema fondamentale è che non si leggono i giornali».
Critiche per tutti. Lei è un pessimista? «Non sono un pessimista ma un vero catastrofista».
Niente di positivo che eviterà la catastrofe? «Razionalmente non ci credo. Mi affido all’ottimismo della volontà che fa a pugni con il pessimismo della ragione».
Prima della catastrofe ha già deciso quando appenderà lo sgabello al chiodo? «Difficile dirlo. Dovrei conoscere le mie condizioni future. Probabilmente quando sarò sotto terra. Prima no, anche sulla sedia a rotelle io verrei in piazza a parlare».

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