Elena Mazzoni Wagner
RIO DE JANEIRO “Social Responsibility“ è la quarta voce che compare nel menù alto del sito della Fédération Internationale de Football Association (più nota con l’acronimo FIFA). #CopaSemRacismo! (Coppa senza razzismo) è la campagna con cui il Brasile fa pubblicità ai “suoi” mondiali di calcio. Mancano pochi giorni e la pagina facebook del governo brasileiro fa il conto alla rovescia per la Copa do Mundo 2014 (12 Giugno – 13 Luglio). Mentre sul sito istituzionale, uno spot invita – con grinta ed entusiasmo al limite del non-ridicolo – tutti i cittadini ad essere preparati, ad accogliere de braços abertos (a braccia aperte) 600 mila turisti stranieri + 3 milioni di turisti nazionali, perché “la Coppa non si gioca solo dentro il campo” ma i giocatori “siete voi, sono io, sono tutti i nostri brasiliani. Perché questa è la nostra Coppa ed è la Coppa delle Coppe”. Quasi commovente, tutta questa umanità.
Le proteste esplose nel Giugno 2013? Fuoco passato. Adesso si parla solo di pace. E “The Pacification of Rio, as Observed from a Gondola“ è il titolo di un interessantissimo articolo scritto da Amy Moran-Thomas e pubblicato dal Boston Review, che ci mostra un esempio della più recente evoluzione della città, determinata soprattutto dal calendario dei grandi eventi che sta per ospitare: 2014 FIFA World Cup Brazil e Rio 2016 Olympics.
“Pacificazione” è la parola sulla punta della lingua di tutti, il nome ufficiale per la politica controversa del governo brasiliano per regolamentare le baraccopoli che circondano Rio, prima della Coppa del Mondo nel mese di Giugno e prima delle Olimpiadi estive del 2016. Le unità di polizia specializzate e create per applicare questo processo sono le UPP, abbreviazione di “Unidade de Polícia Pacificadora” (Unità di Polizia Pacificatrice). Questi soldati, altamente addestrati, indossano giubbotti antiproiettile e uniformi camuffate in scala di grigio. Sono incaricati di sradicare le bande che si sono incorporate nelle comunità locali.
La giornalista Amy – accompagnata da Tricia, una dipendente del governo che le corregge il vocabolario: meglio dire “comunidade” che “favela” – ci porta nel Complexo do Alemão, nel nord della città:
un quartiere abbastanza famoso per servire da sfondo ad una soap opera di rilievo, Salve Jorge, che parla di un soldato UPP e di una madre single residente. Il Complexo do Alemão si distingue dalle decine di altre favelas che circondano Rio anche per un nuovo sistema di trasporto, una funivia con 152 gondole che collega sei stazioni collinari. I giornali in lingua inglese si riferiscono all’impianto chiamandolo “gondola project“, ma Tricia offre un altro correttivo: “Meglio chiamarlo teleférico”, dice.
Inaugurato il 7 Luglio 2011, “o Teleférico do Alemão” è la prima funivia urbana del Brasile – o meglio il primo trasporto di massa via cavo – e consente agli abitanti del quartiere di raggiungere la città: la linea è lunga 3.5 km, ha sei fermate e si percorre interamente in 16 minuti. Il sistema è stato costruito come parte del piano di sviluppo delle infrastrutture brasiliano, conosciuto come il Programma di Accelerazione della Crescita (PAC, Programa de Aceleração do Crescimento in portoghese). I residenti locali possono richiedere la RioCard che li concede due viaggi gratuiti al giorno. Oggi, però, l’impianto sembra essere più un’attrazione per il turismo nella favela che un mezzo di trasporto pubblico.
The teleférico runs through Complex do Alemão, a neighborhood in Rio’s once-infamous Zona Norte. – Claudio Lara
Le lucide e rosse vetture sembrano cabine chiuse di uno ski lift, ma sorvolano sopra case fatiscenti, invece che distese di neve. La corsa vale solo 5 reais brasiliani (meno di 2,50 dollari e poco più di 1,60 euro) per i visitatori esterni. Sulla piattaforma, i lavoratori in divisa sollevano la corda di tessuto per i gruppi di passeggeri che salgono nella cabina. Le file ben ordinate e la musica teatrale a tutto volume che esce dagli altoparlanti – una partitura di John Williams e un’opera di Wagner – evocano la sensazione di attesa per un giro a Disney World. Quando è il tuo turno, bisogna salire a bordo rapidamente prima che le ante in vetro si chiudano.
In contrasto con le epiche colonne sonore che si ascoltano sulla piattaforma, la gondola fa poco rumore, quando si muove lungo il cavo. Si crea così uno spazio intimo da condividere con estranei, come un confessionale in movimento. Scivoliamo tra colline, montagne e burroni, ricoperti da un mosaico di tetti in lamiera e cortili di cemento, intervallati da alberi e viti in fiore. Molte delle piattaforme della teleferica sono costruite vicino a stazioni di polizia con l’etichetta “UPP” in stampatello. Dopo che una delle stazioni è stata attaccata nel 2012, 1.800 funzionari sono venuti a pattugliare solo questa favela.
La pacificazione di Alemão è stata particolarmente violenta. I membri di una banda si erano insediati su una collina, e la tenevano come base militare. Quindi le truppe di polizia presero d’assalto le strade strette e arrivarono molti carri armati, che la gente qui chiama “grandi crani” (caveirão). Più di 30 locali sono morti nel novembre 2010, ma le operazioni di assedio avvenivano già da anni. Nel loro libro “Living in the Crossfire” (2011), Maria Helena Moreira Alves e Filippo Evanson fanno notare che anche la polizia ha ucciso almeno 43 persone in Alemão tra maggio e agosto 2007, tra cui 19 bambini, morti da proiettili vaganti. In totale, più di 10.000 persone sono state uccise durante gli scontri con la polizia a Rio tra il 2001 e il 2011, secondo il sociologo Michel Misse e i suoi collaboratori presso l’Università Federale di Rio de Janeiro. Human Rights Watch riferisce che “una quota sostanziale” delle morti “sono in realtà esecuzioni extragiudiziali”, impossibili da rintracciare perché il Brasile registra tali decessi come omicidi di “resistenza”.
Dalla gondola scattiamo immagini del drammatico paesaggio. Le macchie di grasso sui finestrini appaiono nelle nostre foto come fantasmi.
Tutti fuori al capolinea. All’uscita della stazione, ci sono bambini che spacciano acqua da refrigeratori di polistirolo appesi con fasce intorno al collo. Ho già una bottiglia d’acqua in mano, così il preadolescente/venditore chiede solo se può avere comunque un po’ di soldi. La ragazza più giovane di lui non indossa le scarpe, e mi trovo imbarazzata a dire sì o no. Un cartello arancione vicino dice: “POLIZIA MILITARE: LAVORIAMO PER LA TUA SICUREZZA” (“POLÍCIA MILITAR: TRABALHANDO PARA SUA SEGURANÇA”). Alcuni turisti fotografano la vista in lontananza, altri sbirciano tra le bancarelle che vendono gioielli e borse intrecciate con involucri di snack riciclati. La mia collega Megan compra un paio di ghiaccioli al gusto di acai, ad un chiosco. Il lotto recintato della stazione è sorvegliato da tre ufficiali UPP con mitragliatrici.
Prima che il sole inizi a salutarci, osserviamo un flusso di pendolari arrivare e scendere all’ultima stazione; alcuni indossano uniformi e trasportano valigette; altri sono venditori che trasportano merci e verdure. I residenti di Alemão hanno due biglietti gratuiti al giorno, uno per scendere dalla collina e uno per risalire dalla città. La funivia ha reso il trasporto molto più veloce e facile rispetto al lungo giro di strade a tornanti. La maggior parte degli abitanti apprezza l’efficienza di questo trasporto pubblico. Ma c’è comunque un prezzo da pagare. E noi siamo il prezzo, un carosello di sconosciuti rotanti sopra le loro case, sopra la vita delle persone; noi, turisti a guardare e fotografare con lo zoom attraverso le finestre della gondola.
Alcuni funzionari credono che sollevare i viaggiatori da terra, con questo sistema, aiuti a eludere le zone grigie del turismo nelle favelas, dove l’interesse degli stranieri per la povertà rischia di essere semplice curiosità, o persino voyeurismo. Ma forse la teleferica non è una soluzione al problema, guardando bene. Dall’altezza della funivia, la spazzatura nei vicoli e pozzi aperti, là sotto, non ha alcun fetore o effetto sulla salute. Appare invece come un mosaico di detriti, luminoso, con plastiche colorate e metalli scintillanti, come in un dipinto di Gustav Klimt. E a volte la scena sottostante può anche apparire goffamente intima. Ecco un panorama di vita nella favela: un bambino fa volare un aquilone mentre due uomini bevono birre su sedie di plastica; una donna appende il bucato sopra un tetto: quattro pullover blu di calcio (stessa squadra, numeri diversi); due auto della polizia si fermano con le loro luci rosse lampeggianti tra edifici sbriciolati, collegati da un labirinto di scale. E un graffito su un muro mostra un alieno che guarda verso l’alto. L’inversione è sorprendente: se l’alieno, terrestre e addomesticato, è un insider, sui mattoni del tetto di una casa, che razza di stranieri/viaggiatori saremmo noi?
Già più di 1,6 milioni di turisti visitano Rio ogni anno, e una massiccia marea di stranieri supplementari convergeranno qui per la Coppa del Mondo e poi per le Olimpiadi. Attrazioni leggendarie di Rio, come il colle Pão de Açúcar (Pan di Zucchero) e la montagna del Corcovado o Monte Cristo, hanno a lungo occupato tram e funivie. Tuttavia, in questo caso, non è la geologia oceanica o il panorama statuario, ma sono i brasiliani locali la vera attrazione, la loro povertà, l’architettura e “cultura” della favela. Il trucco della gondola consente di essere vicini e lontani allo stesso tempo: la vita delle persone povere può essere vista da vicino attraverso un obiettivo fotografico, ma ad una distanza di sicurezza tale che i visitatori non hanno bisogno di comunicare con i residenti per chiedere loro il permesso di immortalarli in un’immagine. Non vi è alcun rischio di incontrare persone che vogliono qualcosa in cambio. Un numero crescente di brasiliani del ceto medio-alto, socialmente consapevoli e interessati a sapere di più sui poveri del loro paese, ma anche preoccupati per la loro sicurezza, sono ora in visita per la prima volta nelle favelas, tramite la teleferica. Questo sistema, tra nuove tecnologie del turismo, sicurezza e trasporti, è forse l’inizio di un nuovo orizzonte.
Molti recenti progetti di opere pubbliche a Rio de Janeiro sono importanti per i cittadini locali. Tra questi ci sono cliniche di alta qualità, scuole migliori e linee di autobus affidabili. Tuttavia, accanto a questi progressi, “altri progetti pubblici non hanno senso”, per citare un recente articolo del New York Times su Morro da Providência, la favela più antica di Rio (risale al 1897). I residenti hanno recentemente vinto un’ingiunzione legale contro un sistema di teleferica sul modello di quella di Alemão, che non volevano. Qui i locali sono stati consultati e hanno chiesto sistemi fognari migliori, strade asfaltate e pulite. Ma il finanziamento è invece andato a un teleférico da 38 milioni di dollari e a un “centro culturale”, la cui costruzione dislocherebbe una stima di 670 famiglie.
Complicate questioni penzolano con noi a mezz’aria: gli investimenti per la Coppa del Mondo o per le Olimpiadi portano sviluppo alle nazioni e re-immaginano i loro terreni urbani, ma in cosa si traduce questo sviluppo? Chi deciderà e chi sarà responsabile di questo? Gli studiosi parlano del fenomeno globale della trasformazione urbanistica, in vista di grandi eventi, in termini sociali sia di estetica che etica, poiché i paesaggi locali cambiano e le persone vengono sfollate al fine di costruire progetti spettacolari o attuare altre riforme neoliberiste. Spesso, questi mega-eventi realizzano le liste dei desideri del governo. E sono utilizzati per giustificare forme controverse di polizia (e pulizia).
Visto da questa prospettiva, che tipo di popolazioni vengono costruite in base ai percorsi e nell’ottica di una linea a gondola? Il turismo è reso più sicuro dalle nuove forme di sorveglianza della polizia e, viceversa, la sorveglianza della polizia è resa più sicura dall’afflusso dei turisti, la cui esigenza di tutela rafforza logiche esistenti per militarizzare il territorio con la presenza dei soldati UPP. Ognuno contribuisce a rendere l’altro possibile. La Polizia di Rio ha iniziato a testare aerei drone per monitorare le favelas, anche se in gran parte il sistema di gondole sopra Alemão offre già uno sguardo aereo. Il potenziale di sorveglianza del teleférico è inseparabile dalle sue altre funzioni: in parti uguali è sia macchina iconica della riforma dello Stato che servizio pubblico locale e mega-esperimento turistico globale.
Mentre ci avviciniamo al terminal, le gondole davanti a noi vengono illuminate dalla luce abbagliante del sole al tramonto. Così, attraverso il vetro, non posso più distinguere i locali pendolari dagli outsiders con fotocamera pronta. Quando, poco dopo, scendo alla stazione con un bel po’ di vertigine, non mi sembra di aver lasciato un veicolo di trasporto pubblico. Ho invece la sensazione di aver appena visitato un nuovo tipo di museo urbano, dove invece dei reperti sono i visitatori a rimanere all’interno della teca di vetro.
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QUINDI. La prima funivia urbana del Brasile è davvero un nuovo tipo di museo? Un museo che mette in mostra i cittadini più poveri ma a debita distanza? Un museo dove i custodi sono soldati che, invece di vigilare sulle opere in esposizione, vigilano sulla sicurezza dei visitatori, grazie ai quali la tensione tra locali e polizia sembra attenuata e l’illusione di una “pace” resta più o meno in equilibrio?
Ringrazio Amy Moran-Thomas (post-dottoranda in antropologia alla Brown University) per il suo reportage che ho letto con tanto interesse e tradotto con altrettanto piacere, sperando di esser rimasta il più possibile fedele alle sue parole. L’analisi della sua esperienza stimola riflessioni su molti temi: dalla politica all’economia, dall’urbanistica all’architettura, dallo sport al turismo, dall’etica all’estetica, dalla sociologia all’antropologia, dalla comunità all’individuo. Per fortuna, la Copa do Mundo è anche un’occasione per pensare.
Detto questo, siamo pronti ad appiccicarci al mega schermo ultra-piatto e tifare il nostro Paese? Oppure, siamo pronti a volare a Rio e – ovviamente dopo la partita (ci sono pur sempre delle priorità!) – a dare una sbirciatina attraverso il vetro della gondola, per vedere come vive la gente nelle favelas? Ah, pardon. Meglio dire “comunidades”. Pronti a dare il nostro contributo a questa “evoluzione” della civiltà urbana? Nessuna polemica. Solo un po’ di consapevolezza e qualche dubbio sull’umanità di chi non rispetta la dignità della persona umana.
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Per riassumere questo complesso tema globale, con un’altra immagine simbolica, ecco a voi un’opera di Paulo Ito, pintor de rua (pittore di strada).
Street Art firmata Paulo Ito a Vila Pompeia, un quartiere della capitale brasiliana, São Paulo.
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fonte immagini: Tumblr