Welcome to Halloween, Sandy

Veronica Santi

NEW YORK Sabato sera (27 Ottobre) c’era una calma nell’aria che mi innervosiva. Mi sono fatta trascinare in una delle migliaia di feste in maschera del weekend pre-Halloween per stemperare questa quiete inquietante. Idea infelice: soffocata da una testa di Minni troppo ingombrante e calpestata da un Michael Jackson senza senso del ritmo, mi sono ritrovata nel vortice dei festeggiamenti circondata da Edward Mani di Forbici che sudava bianco, Freddy Krueger visibilmente ubriaco e molesto appoggiato a un’euforica Alice nel Paese delle Meraviglie, a sua volta attaccata alla coda di un Mio Mini Pony intento a portarsi a casa Freddie Mercury. Io, che di solito adoro i travestimenti, in due ore (!!!) di shopping nel cuore di New York non ero riuscita a procurarmi un costume decente; così alla fine mi sono presentata con una faccia truccata da zombie, una frusta in mano (non si sa mai, in queste occasioni), le antenne, i calzettoni e altri accessori gialli e neri del Bee kit. Ma mi sentivo un alieno. Sarà che io Halloween non l’ho mai festeggiato. O forse quella maledetta quiete mi aveva tremendamente confusa e mi sembrava impossibile che nessun altro la percepisse. Sulla via del ritorno a casa, quando mi è passata davanti la metro e tutti gli scompartimenti erano pieni zeppi di gente vestita solo di bianco ho capito che, in ogni modo, la strana ero io.

Ottobre è il mese di Halloween. Tutto Ottobre, intendo. Piano piano le strade, le finestre delle case, i bar si riempiono di mostri, ragnatele, zucche sdentate e sorridenti. Perché Halloween fa immaginare tutto ciò che ha oltrepassato la morte, è una sorta di paradiso dark e bizzarro. Da’ il benvenuto ai colori dell’autunno, ai primi freddi, alle serate a casa con amici, tè caldi e scary movies. È una festa che lega le persone più diverse che conosco (il cinico e il sarcastico, il patetico e il viziato, il raffinato e l’alternativo), nonché i generi più disparati (dal pop al commerciale, dal fai da te al vintage ricercato, dal dark al noir, dal punk al retro). La sua magia e il suo fascino li capisci solo parlando con gli americani d’America.

Nella notte tra domenica e lunedì (29 Ottobre) è arrivata Sandy, il più terrificante intruso di questo Halloween 2012. L’uragano che ci ha tenuti in casa fino alla sera dopo. A noi non è andata male, abbiamo festeggiato con champagne il compleanno di un’amica, cucinato cibo sano, mangiato schifezze, letto, lavorato e guardato film. Al riparo, è stato difficile rendersi conto della situazione reale. Tutto quello che vedevo passava dalla tv, dalle immagini su internet e dalle finestre di casa: i reportage allarmanti degli inviati, le foto di temerari che mostrano una New York deserta e allagata, le foglie sradicate dagli alberi e trascinate dal vento.

Sembra impossibile, eppure New York si è davvero fermata. Anche se qua nessuno sa come fermarsi. L’aria è drogata, elettrica. Si può solo essere naufraghi per le strade di questa città, dove tutto cambia troppo velocemente per affezionarcisi, dove tutto è troppo grande per essere tenuto sotto controllo, dove la vita è lavoro e il giorno libero è anch’esso un lavoro. Penso alle mie estati in Sicilia, alla dimensione del tempo e dello spazio, alla staticità e alle lamentele. Al sole e alle pause pranzo di due ore.

Stavolta “the city that never sleeps” è barricata in casa, metà Manhattan è completamente allagata e senza metro non si va a lavoro, senza elettricità non si può neanche lavorare da casa o ricaricare l’iphone… come si fa senza google map a girare per New York? Le feste e l’annuale Halloween Parade sono state cancellate: la 6th Avenue, tra Spring Street Sud e Canal Street Nord, dove ogni anno sfilano migliaia di costumi, zombie e streghe, è completamente al buio. Come nel peggior film horror, lo skyline di New York si confonde nella notte e solo l’Empire State e il Chrysler rimangono illuminati a dare una direzione.

“The night after Sandy”, nonostante tutto, non fa eccezione e la sensazione nell’aria è la solita. Qua la gente non può star ferma, nemmeno con la tempesta; i newyorchesi vogliono essere utili, devono scattare le foto da postare su facebook e twitter, perché si sentono in dovere nei confronti del mondo, devono dire e raccontare, come se qua si fosse sempre sotto una lente di ingrandimento e sopra un palcoscenico. E questa gente è la stessa che sogna un mondo là fuori fatto di zombie, vampiri, streghe e icone di ogni sorta, un palco appunto dove esibirsi, recitare la vita di un’altra entità che in qualche modo gli appartiene. I newyorchesi non possono avere pace nei pochi metri quadrati di un appartamento che costa la metà dello stipendio e dove non ci si sta mai se non per tornare a dormire quelle 5-6 ore. Qua la casa non è mai home. New York è la Home per i New Yorkers. E qua la gente come me non riesce a trovare un angolo di concentrazione, di quella concentrazione mentale, pesante e celebrale, propria di noi europei. Perché qua bisogna fluttuare, stare nel vortice continuo di questa elettricità che si respira nell’aria, essere sempre in movimento per poter fermare l’attimo giusto con una foto e un tweet; l’attimo giusto deve essere immortalato, filmato, registrato, comunicato al mondo. Trovarsi nel posto giusto, al momento giusto, con la gente giusta. L’occasione può passarti di fronte e tu devi chiapparla al volo. Se stai fermo e imbambolato sei perduto. Devi saper cavalcare l’onda ed esser pronto a cogliere l’attimo, perché prima o poi capiterà anche a te.

Nella notte di Halloween, nonostante le strade inondate e stravolte, molti Americani non hanno rinunciato a celebrare la loro festa e alcuni in costume si sono riversati per strada.

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