BOLZANO Le cantine e i vini altoatesini hanno nomi difficilissimi da ricordare. La pulizia, la limpidezza, la definizione dei profumi, quelle ti restano impresse nella memoria fin dal primo assaggio. Un rigore che potrebbe dar l’idea di distacco, di algida freddezza: bellezza nordica. E invece li assaggi e scopri una inaspettata suadenza, un fascino carnale, un tocco passionale.
L’Alto Adige è stata una delle realtà che hanno segnato per prime la mia storia d’amore con il vino. Le tappe che scandiscono la nascita della passione, spesso, si somigliano: da convinto sostenitore della teoria del vino di casa sua, l’appassionato in erba, soprattutto se è toscano, come me, è un appassionato di parte (“com’è bono il sangiovese!”). Ben presto, però, nel suo percorso di avvicinamento a quello sconfinato mondo, l’appassionato diventa relativista. Allora il vino diventa un mondo da scoprire, la curiosità e i colpi di fulmine la fanno da padroni. É un percorso educativo: favorisce la scoperta, l’apertura, la sospensione del giudizio. La parabola si conclude quando si diventa talmente esperti da essere riconosciuti universalmente come tali. Allora è facile diventare così certi delle nostre impressioni da trasformarle, di nuovo, in sentenze.
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Consapevole di non correre questo rischio, mi sono fiondato con grande gioia a uno degli eventi più importanti nel mondo del vino, il Merano Wine Festival (MFW), che dal 1992 si svolge ogni anno nella prima metà di Novembre, in un bellissimo palazzo liberty della cittadina altoatesina.
Organizzatissima, vasta ed elegante, la manifestazione offre per ogni giornata (dal venerdì al lunedì) una prospettiva particolare sul mondo enologico italiano ed estero, valorizzando una zona particolare, una denominazione, una tematica (chi ha detto bio?), un abbinamento. Per non contare gli eventi collegati, le cene, le degustazioni guidate, le presentazioni, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, e sicuramente ce n’è a sufficienza da non annoiarsi neanche facendosi tutte e quattro le giornate.
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Ho avuto la fortuna di andare il lunedì, che è il giorno meno affollato e che, soprattutto, offriva da programma l’assaggio di alcune bottiglie invecchiate gentilmente, stappate da buona parte dei produttori presenti: un’esperienza difficile da dimenticare, ve lo garantisco. Montevertine 1996, Ferrari Riserva del Fondatore 1999, Conterno Fantino Vigna del Gris 2004, Borgogno 1998, 1982 e 1967 (millenovecentosessantasette!!), Prunotto 1989, Paleo 2000, Mastrojanni 1999, Emidio Pepe con una batteria di annate da non credere. A chi sa di cosa parlo tremano già le ginocchia, agli altri lascio immaginare. Emozione pura, pornografia vera.
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Certo, un festival non è la sede più adatta per apprezzare vini di una certa età, che meriterebbero tutta la calma che si deve a un saggio vecchio quando parla; c’è da dire, però, che il contesto liberty del Kurhaus lascia spazio anche alla meditazione, e non è impossibile trovare un angolo di tranquillità per godersi quel che abbiamo nel bicchiere, che ci ha messo così tanto ad arrivare fin lì.
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La lista degli espositori è lunghissima e talmente ricca da riservare grandi sorprese. La presenza di molti produttori è un valore aggiunto fondamentale: spesso, il vino somiglia a chi lo fa, come l’assioma dei cani che somigliano sempre al padrone; c’è quello tutto elegante e impostato, che fa un vino rigoroso, molto tecnico, un vino di cantina; c’è il fricchettone, che nove su dieci ti vende un vino biodinamico difficile (per usare un eufemismo) da interpretare, ma che ti assicura che “è tutto naturale, eh!” [che significherà poi questa storia, non l’ho mai capito: pure l’amanita muscaria è naturale, ma tanto bene non fa!]; c’è il contadino con le mani tozze e screpolate, che ti racconta della passione che ci mette per tirar fuori dalla vigna quel prodotto che trovi così caratteriale, così espressivo; c’è il chiacchierone, che spesso parla troppo per essere credibile, e che cerca di venderti un vino che pare una battona, tutto fumo e poco arrosto; c’è la coppia giovane e tutta entusiasta che ti fa ritrovare la fiducia nel futuro del tuo paese e che ti propone un vino scoppiettante, a volte non proprio perfetto ma sicuramente appassionante. E così via. Umanità e vino, vino e umanità.
Un giro per le sale del festival è davvero una monumentale lezione di enologia. Altro che corsi sul vino! Ad ogni angolo si può scoprire qualcosa, approfondire un argomento, spiegare, domandare, chiarire, sperimentare. Uscito sovreccitato da quel turbine di stimoli, tanto per sottoporre alla prova scientifica del dubbio l’ospitalità altoatesina, ho prenotato un tavolo in un ristorante segnalato da Slowfood a Lagundo, bellissima località da cui si domina Merano. Si chiama Gasthof Oberlechner. Siamo solo noi a cena, la padrona di casa ci accoglie con grande cortesia e i piatti, a base di prodotti prevalentemente locali, sono ottimi. Buona anche la scelta di vini, intelligentemente concentrata sui prodotti dei dintorni. Spesa ridicola, grande soddisfazione. Altro ristorante da consigliare, sempre a Lagundo, è il Leiter am Waal: Leiter am Waal. C’ero stato la sera prima. Leggermente più pettinato dell’altro, ma sempre in stile trattoria e sempre in tema di cucina regionale altoatesina, è un ottimo riferimento per chi vuol gustare i piatti della tradizione locale e stappare qualche bottiglia da ricordare.
Per dormire, non posso non consigliare il Ruster Resort, una delle strutture ricettive più curate in cui mi sia mai capitato di posare le valigie (70 euro per la doppia, o giù di lì). La sauna inclusa nel pacchetto è l’apprezzatissima ciliegina sulla torta di una visita troppo breve a un festival immancabile per ogni appassionato e al suo contesto territoriale eccezionale.
Fa freddo, andate in Alto Adige!
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Merano Wine Festival (MFW)
Site: meranowinefestival.com | Facebook: Merano WineFestival | Twitter: @MeranoWineFest