Elena M. Wagner
FIRENZE Il 9 giugno al Teatro SaschAll hanno sfilato le 45 collezioni realizzate dai diplomandi in Fashion Design, come prova finale del loro percorso triennale al Polimoda (Istituto internazionale di fashion, design e marketing nato nel 1986). Ogni collezione è composta da 7/8 outfit e ispirata a un tema liberamente scelto dallo studente-stilista.
Una passerella giovane dove la creatività e provocazione, la sperimentazione su forme e volumi, la sartorialità e attenzione ai dettagli, hanno raggiunto punte anche estreme. Una giuria di esperti ha premiato la collezione più creativa, quella più commerciale e quella più mediatica. Anche noi di CCT abbiamo eletto la nostra preferita.
E in questo caso, la collezione scelta da CCT, è “L’envolée Imaginaire” di Alice Godin, 21 anni, belga di Liège. “Ho voluto far risaltare il profilo della donna. – racconta Alice. – Volevo che le mie modelle, viste appunto di profilo, sembrassero come delle fate alate pronte a spiccare il volo. Mi sono ispirata al mondo fiabesco e fatato della scrittrice francese Marie-Catherine d’Aulnoy; alle fate dell’artista contemporanea afro-americana Kara Walker e del regista francese Michel Ocelot; e infine al pittore fiammingo Antoine Van Dyck.” Alice è esattamente come la sua collezione: semplice e raffinata. Nel suo entusiasmo, tanto studio, precisione e passione. Sulla passerella, la femminilità più elegante e delicata. Signorilità e rara finezza. Colori tenui ma luminosi. Alice ha dimostrato che il tulle non è un tessuto solo per ballerine: dal color panna al beige chiaro, galette di tulle danno forma a un abito da favola. Un vero incanto.
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Di particolare interesse, anche i capi dell’austriaca Johanna Katharina Maninger nella sua collezione “Praise“: una graduale trasformazione della donna, dal suo lato più maschile (pantaloni, collo alto e giacca) a quello più femminile e sensuale (un abito rosso fuoco con grande scollo), passando da un ibrido panta-gonna. “Una sorta di liberazione per la donna, – spiega Johanna – che non dovrebbe voler apparire più “simile” al maschio solo per essere considerata al suo pari. Che non dovrebbe “sembrare” maschile e vestirsi da uomo solo per poter lavorare come lui, vivere come lui. Che non dovrebbe temere se stessa e rinunciare alla sua femminilità, sensualità. Così ho voluto rappresentare la de-mascolinizzazione del look.” E la provocazione ha sfilato insieme alle modelle in modo molto chiaro.
E se le donne possono avere un look maschile, gli uomini possono averne uno femminile. “Perchè privare l’uomo maschio del tacco? – esclama Luciano Alfano – E’ una delle più belle ed eleganti invenzioni della moda. Le donne sono magnifiche sopra i tacchi. Perchè l’uomo no?”. E infatti, nella sua “Transformazione“, tutti i modelli indossano scarpe alte 15 centimetri. Ma anche nel suo caso, il passaggio da uomo a donna è graduale: dal pantalone all’abito lungo, le spalle si fanno più esili, cresce il seno (prima uno e poi entrambi) e crescono i capelli (un tessuto beige è la chioma bionda che diventa una lunga treccia da far girare intorno al collo come una sciarpa). E ovviamente non manca l’accessorio borsa.
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Infine, premiato per la creatività, Thomas Derbyshire con “Ma Bile Artificielle“. Il racconto di un’autodistruzione che culmina con una scarna nudità, ma ironica: la modella è vestita solo dai suoi capelli e la mutandina color carne ha davanti un ciuffetto rosso.
Uomini sui tacchi, donne con solo una scarpa o autentiche ballerine da danza classica. Come accessori, borse degli attrezzi o maschere di legno. La fantasia sulla passerella del Polimoda non ha avuto limiti. L’estro non è assolutamente mancato. Ma neanche i difetti. Il più evidente, la ridondante e noiosa presenza delle “spalle gonfie“, dai volumi esagerati. Decisamente troppe: segno di una diffusa imitazione passiva della recente haute couture. La semplice copia e ripetizione delle ultime tendenze può essere di un tedio mortale. Le contro-tendenze sono difficili da creare e rischiano di non essere applaudite ma sono sicuramente più curiose, interessanti e meritevoli. Errore opposto, la ricerca forzata ed esasperata di “modelli deformi” che non donano a nessun corpo. Uscire dai soliti schemi è un’eccitante ambizione e ottimo obiettivo, ma non deve significare la perdita della bellezza.
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Foto di Fabio Tempestini (Mandarino23) ed Eleonora Monzali