Tutti al Binario 21. Tutti sulla Torre.

MILANO Da dicembre 2011, i lavoratori-licenziati dei Treni Notte presidiano sopra e sotto la Torre Faro della Stazione Centrale, all’altezza del binario 21. Il reportage che segue è sui primi mesi della “battaglia” (ultimo aggiornamento: 25 gennaio 2012). Giuseppe Gison, Carmine Rotatore e Oliviero Cassini sono poi scesi dalla torre. Adesso sopra ci sono due ragazzi: Stanislao Focarelli e Rocco Minutolo. Sotto, c’è tutta l’altra gente, la solidarietà del popolo italiano che insieme a loro attende ancora risposte dalle istituzioni… E anche noi di CCT siamo lì. Tutti al Binario 21. Tutti sulla Torre.

Giuseppe Gison, Carmine Rotatore e Oliviero Cassini.

Stanislao Focarelli e Rocco Minutolo.

Per continuare a seguire giorno per giorno la storia:
Blog: Binario 21 / Il diario sul mensile online di Emergency
Pagina Facebook Ufficiale: I licenziati dei treni notte
E del Comitato di cittadini che sostiene il presidio: Binario 21 chiama Italia

Giulia Dedionigi

MILANO – reportage aggiornato al 25 gennaio 2012 «Non so davvero più cosa raccontargli», dice Silvia riferendosi ai suoi due figli. Lei è qui, in stazione Centrale a Milano, con il naso all’insù e gli occhi fissi a cinquanta metri d’altezza. Lì, sopra una torre faro, suo marito, Giuseppe Gison, ha vissuto per oltre 40 giorni insieme a Oliviero Cassini e Carmine Rotatore. «Dai vieni giù!», urlavano i loro due figli il giorno di Natale al padre. I bambini non avevano ancora capito, e ancora non capiscono bene, cosa stia accadendo.

È la notte dell’8 dicembre quando tre lavoratori della Servirail, l’ex Wagon-lits, società che gestisce il servizio ferroviario sui treni notturni, escono di casa per andare a lavorare. Arrivati in stazione però non possono più partire. È l’ultimo giorno prima del loro licenziamento e di quello di altri 800 dipendenti in tutta Italia, lavoratori di tre ditte appaltatrici delle Ferrovie dello Stato che si occupano dei servizi di accompagnamento, manutenzione e pulizia dei convogli. “Così siamo ancora più divisi”, recita il cartello con cui salgono sulla torre, con l’intenzione di occupare il traliccio alla fine del binario 21. I lavoratori della Wagon-lits si rivolgono all’Italia che, da questo momento, perde i treni notturni che collegano il sud con il nord.

foto di Filippo Decorso

Giuseppe, Carmine e Oliviero pensano di restare a guardare dall’alto la loro stazione solo per qualche giorno: un po’ per manifestare il diritto al lavoro, un po’ per tutti quei viaggiatori che, per raggiungere il sud, ora dovranno cavarsela con molti cambi qua e là, oppure con l’alta – e costosa – velocità. Invece, molti panettoni, pochi regali e abbondanti fuochi d’artificio dopo, loro sono ancora qui. Nella notte del 21 gennaio Giuseppe è dovuto scendere: le sue condizioni di salute non gli permettevano più di restare a quell’altezza. Oggi continua la sua battaglia dal binario 21, da quella che Oliviero, il lavoratore numero due, chiama “la base”. «La torre è forte solo se è forte anche la base», mi ha gridato al megafono quest’uomo con i capelli bianchi la prima volta che ci siamo incontrati. È Oliviero Cassini. A casa lo aspetta la sua bambina. Lui, che è rimasto vedovo presto, ora si deve appoggiare alla nonna e a Giovanna, la moglie di Carmine Rotatore, il lavoratore numero tre. Le loro due famiglie abitano vicine e Giovanna, che è casalinga e ha tre figli ormai adolescenti, cerca di aiutare come può. Cucina torte, lasagne e verdure gratinate. Anche Carmine, però, dopo quasi 50 giorni è dovuto scendere: l’impotenza davanti a una situazione così complessa e più grande di lui ha preso il sopravvento. «Non voglio dover rischiare la mia vita per riavere il lavoro», ha detto davanti ad ambulanza e vigili del fuoco che sono arrivati in suo soccorso.

Eccola, questa famiglia allargata: sono tutti i 150 lavoratori licenziati che da oltre un mese vivono qui. Ci sono tende, sacchi a pelo, una lunga tavolata e un fornelletto a gas diventato un ristorante. Vincenzo smista tramite Facebook l’arrivo delle scorte, Salvatore suona la pianola e Pino griglia del pesce da “mandare su per i ragazzi”. Un cestino verde porta sulla torre la minestra appena riscaldata e si mangia tutti insieme. È passato così anche il Natale: con i regali per i bambini calati dall’alto, con un albero ai piedi della torre con appese le lettere di licenziamento, con le visite di tanti milanesi che hanno sottoscritto la petizione per il ripristino dei convogli notte. Ottomila le firme raccolte a Milano, 35mila in tutta Italia, più di duecento euro al giorno donati dai tanti pendolari e un assegno da cinquemila euro da parte di un anonimo imprenditore della zona: è questa la parte d’Italia che, dall’alto, sentono più vicina.

Silvia prepara il caffè: anche lei era una dipendente delle ferrovie dello Stato e, per questo quasi ogni giorno è qui, a fianco del marito Giuseppe: «Ci hanno proposto un ricollocamento entro 24 mesi, ma posso dire al supermercato che ripasserò a pagare tra 24 mesi?». Il silenzio dei media intorno alla vicenda di tutte queste famiglie inizia a pesare anche a lei. Molti le hanno chiesto se la protesta non abbia ormai valicato il confine dell’irragionevolezza: a fronte dei migliaia di disoccupati in tutto il Paese non si è forse un po’ poco pragmatici nel rifiutare la proposta della regione Lombardia che metteva sul tavolo nuove posizioni lavorative? «La trattativa era sottoscritta da aziende legate a Trenitalia da contratti d’appalto che scadranno fra pochi mesi – spiega Rocco Ungaro, segretario della Lombardia Filt-Cgil – , ed anche da ditte che già ora hanno dipendenti che non ricevono da mesi uno stipendio. È assurdo, poi, amputare così una corsa che negli ultimi anni raccoglieva nel nord Italia oltre il 97% dei passeggeri totali per portarli al sud». Ed è proprio sulla ripresa del servizio che si è arenata la trattativa della Regione. Ora si aspetta, con il termometro che ormai scende sotto lo zero, che la loro storia arrivi a toccare i piani alti della politica: si chiede, infatti, l’intervento del governo. «I treni sono un servizio pubblico – protesta Gregorio – ed è giusto che lo Stato ci dica se vuole o meno il nostro servizio». Lui è l’uomo che si ferma a parlare con giornalisti e curiosi e, timido e paziente, racconta a tutti “la saga del binario 21”. Sì perché, qui, ognuno ha un compito specifico come in mare aperto o, “come sui treni”, suggerisce Gregorio. E ci spiega che, superato il giro di boa del primo mese, ora hanno chiesto anche l’intervento del Presidente Napolitano: «La città ci scalda con la sua solidarietà, ma più che mai adesso abbiamo bisogno di non essere abbandonati dalle istituzioni».

Il vento fa vibrare il vaso di fiori appeso sul balconcino di questa casa-provvisoria di quattro metri quadrati.  Ci si ripara dietro a una cerata, ma il manifesto che Daniela ha regalato al binario 21 si squarcia e rischia di volare via. Daniela è la presidentessa dell’Associazione vittime di Viareggio. È venuta anche lei tra i binari della Centrale insieme a tutti gli altri parenti delle vittime della strage del luglio 2009. Un intreccio di vite fragile e commovente: si sono guardati da lontano e sono riusciti a parlarsi grazie ai cellulari, il loro modo per comunicare con chi li viene a trovare. Hanno fatto così anche quando, a Capodanno, si sono collegati in diretta con il palcoscenico del concerto in piazza Duomo. È accaduto con il sindaco Giuliano Pisapia che da allora ogni giorno manda pasti caldi per tutti i lavoratori. È successo con il segretario della Cgil, Angela Camusso, e con Gino Strada, medico e fondatore di Emergency. Da quell’incontro, poi, sono seguite visite quotidiane da parte di un medico dell’associazione che, unico autorizzato a salire sulla torre, si è preso cura dei tre e ora dell’ultimo irriducibile, Oliviero. Gli raccomanda una dieta povera di grassi e consiglia di cercare di muoversi un po’, per evitare che i muscoli si indeboliscano. Tutti, sia sopra che sotto la torre, devono stare attenti, però, perché, mentre Milano si copre di bianco, loro rischiano l’ipotermia. Fino a pochi giorni fa riuscivano a salire e scendere dalla scala della torre per “sgranchirsi” un po’: adesso, però, il freddo paralizza gli arti e rende anche i più semplici movimenti difficili.

Una gelida notizia li schiaffeggia proprio sul finire di giornata. Oliviero riceve sul cellulare una chiamata: è arrivata a casa la busta paga di dicembre. È di ben 420 euro, perché 450 sono stati trattenuti per verificare se hanno riconsegnato le divise e il palmare dato in dotazione.

C’è poca luce ormai, ma si sentono forte e chiaro i treni che arrivano in stazione e passano proprio a qualche metro da loro: i conducenti salutano tutto il presidio con la sirena e dall’alto la torre risponde con fischietti e megafono. Un modo per dire che anche a 50 metri d’altezza non si è mai soli. «Da qui, però, i miei pensieri pesano il doppio», mi dice Oliviero prima di riattaccare.

foto di Filippo Decorso

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