
PHILADELPHIA È appena iniziato un nuovo anno (2017) ed arriviamo a Philadelphia dopo 2 ore di autobus da NYC con la compagnia Megabus. Frastornati dal caos e dalle invasioni barbariche sulla Fifth Avenue di Manhattan, dove orde di persone si riversavano in strada per le festività natalizie e gli acquisti da Winter Sale, Philly (così si chiama affettuosamente la città della Pennsylvania da 1,5 mln di abitanti) ci sembra praticamente vuota.

È grigia come ce l’aspettavamo e ad intristire l’atmosfera ci si mette pure la fitta pioggia che scorrerà per tutta la giornata e anche l’indomani. Le scintillanti vetrine con tanto di musica e pupazzetti animati di Macy’s sono un lontano ricordo. Qui i grandi magazzini più famosi degli States si sono fermati al giorno del ringraziamento, segno evidente che il consumismo non ha ancora divorato ogni centimetro quadrato.
Il teatro della storia americana
Nonostante la sua aria seria, questa città ha comunque il suo fascino. È il fulcro della storia degli USA, il teatro dei principali avvenimenti fondativi della nazione americana. Sotto la pioggia riusciamo, ad ogni modo, a fare un giro al National Historical Park (aperto liberamente al pubblico), dove si trova la Independece Hall, l’edificio in cui nel 1776 fu firmata la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, e dove è custodita la Liberty Bell, simbolo nazionale dell’indipendenza americana.

Tutta l’arte del mondo in un solo museo
Il giorno seguente, ancora pioggia con gelide temperature: impossibile star fuori a vagare senza meta per la città, come piace fare a noi… quindi, decidiamo di rifugiarci nell’arte, che è sempre una buona soluzione. È martedì, giorno di chiusura settimanale della celebre Barnes Foundation, perciò optiamo per il Phildalphia Museum of Art, famoso in tutto il mondo non solo per la sua enorme collezione, ma anche per l’imponente scalinata di accesso, su cui è stata girata una delle più celebri scene di Rocky. Una mecca per gli appassionati del genere, tanto che vi si può trovare persino una statua di Rocky Balboa nell’inconfondibile posa a braccia alzate.
Dopo aver imitato la corsa di Rocky sulla scalinata, entriamo finalmente nel museo, che ci stupisce subito per la sua grandezza e magnificenza. Un vero e proprio excursus nella storia dell’arte dal Medioevo ai giorni nostri, da Occidente ad Oriente. Cosa strana è come pezzi originali siano inseriti in ricostruzioni fedeli ma artefatte. Quindi sorvoliamo velocemente sulle sale dedicate all’arte e architettura europea, dato che – thank God! – nel nostro splendido Paese (Italia) abbiamo gli originali e ci viviamo ogni giorno immersi in tanta bellezza. Troviamo più interessante l’area dell’arte sudasiatica e in particolare restiamo colpiti dal fascino e dalla storia dell’Indian Temple Hall.
Come sempre, la nostra attenzione è inevitabilmente catturata dall’impressionismo francese e dal cubismo. Scopriamo poi con piacere che il museo di Philadelphia ospita la più grande collezione al mondo di opere di Marcel Duchamp, grazie ai mecenati Louise and Walter Arensberg. Per concludere, ci tuffiamo nella mostra temporanea “Paint the Revolution: Mexican Modernism, 1910–1950”, dove è esposto il primo autoritratto di Frida Kahlo.
All’uscita per fortuna la pioggia ci concede un po’ di tregua e torniamo verso il centro cittadino ad ammirare il City Hall, l’edificio comunale più grande degli Stati Uniti. A seguire, breve passeggiata a Chinatown e un’incursione al Reading Terminal Market.
Nightlife e musica per tutti
Concludiamo la serata al Time, locale noto per la musica live e la buona cucina. L’appuntamento settimanale del martedì è “Open Mic”, serata in cui – come ci spiegano i nostri vicini di tavolo (un chitarrista graphic designer di origini albanesi che sa a memoria l’intero testo di “Una carezza in un pugno” di Celentano e una cantante afroamericana) – la house band accompagna le esibizioni di musicisti e cantanti che vogliono mettersi alla prova… si va dalla chitarra gispy alla voce soul e al sax jazz. In pratica una jam session di tutto rispetto, che ci accompagna durante la cena e oltre.
Gayborhood, nel cuore della città
L’atmosfera del Time ci trattiene fino a tardi e la mattina dopo ci svegliamo con fatica per preparare le valigie. Ancora un paio di ore per dare un ultimo sguardo alla città e il cielo azzurro ci regala una Philly illuminata dal sole. Non sembra nemmeno la stessa. A piedi raggiungiamo la zona di Pine Street, uno dei quartieri più antichi della città, fatto di strade strette con marciapiedi ed edifici a mattoncini rossi. I negozi che si affacciano su questa strada, in un tratto che è chiamato anche Antique Row, sono deliziosi e tra gli altri c’è anche Giovanni’s Room, la più vecchia libreria gay d’America. Attraversamenti pedonali arcobaleno e cartelli stradali multicolor ci aiutano a capire che siamo in un quartiere speciale. Solo dopo scopriremo che quella è la gayborhood ufficiale di Philadelphia. Risale esattamente a 40 anni fa l’apertura del primo centro gay in questa città, la prima a riconoscere ufficialmente una gayborhood ed utilizzare questa denominazione alla fine degli anni ’90; la seconda, dopo Chicago, ad installare cartelli stradali arcobaleno, nel 2007 (fonte: phyllivoice.com).
Philadelphia, al centro della storia della nazione americana e delle lotte per i diritti civili, non poteva che rispondere con politiche di accoglienza ed integrazione al nome scelto per lei nel 1682 da William Penn, il quacchero fondatore della città: la “città dell’amore fraterno” (dal greco philos “amore” e adelphos “fratello”).