
Testo e Foto di Beatrice Zanelli & Federica Cerbarano | ARTECO
CARRARA Conoscere una città attraverso una residenza artistica è un’esperienza unica, estremamente impegnativa e coinvolgente. Un periodo di totale immersione nel contesto, durante il quale l’artista viene chiamato a interpretare la città non con gli occhi del turista bramoso di visitare luoghi a lui ancora sconosciuti e rilassarsi, e neanche con quelli del professionista che per motivi di lavoro vi transita, spesso nemmeno rendendosi conto di quello che lo circonda. Fare una residenza significa tentare di lasciarsi alle spalle tutti gli immaginari precostituiti e mettersi in fase di esplorazione e ascolto.
Per questo motivo, quando il centro di Carrara ci ha accolti con le serrande abbassate, le vie deserte e il famoso incessante rumore dei laboratori ormai spento, non ci siamo fatti trarre in inganno e siamo andati in cerca di storie.
Trasformandoci in acquirenti di marmo d’inizio Novecento, siamo partiti dal campionario dei marmi della sala al pian terreno dell’Accademia di Belle Arti per poi attraversare le sale dell’istituzione, preziosi scrigni che racchiudono alcuni secoli di storia dell’arte. Il Laocoonte, Thorwaldsen, Canova, Bartolini e Finelli, pochi esempi per permetterci di capire ciò che Carrara era e tuttora rappresenta: un crocevia di artisti, tradizioni e idee, un’importante realtà locale riconosciuta in ambito internazionale.
Nel cammino abbiamo incontrato seducenti personaggi, storici e architetti, che ci hanno accompagnato alla scoperta delle tracce nascoste nella città, testimonianza di fatti storici e leggende popolari.
Una volta capaci di orientarci, almeno geograficamente, abbiamo intrapreso un itinerario alla ricerca del famoso “oro bianco”, il Marmo di Carrara: dalla Cava Museo a Fantiscritti ai laboratori sparsi capillarmente nel tessuto cittadino la strada è breve e da secoli solcata da diversi tipi di mezzi di trasporto. La concezione romantica di sublime – quella consapevolezza dell’infinità e della potenza della natura sull’uomo – che ancora oggi è possibile provare nel cuore delle cave di marmo viene immediatamente ribaltata quando ci si trova davanti alle opere maestose che riempiono i laboratori di scultura.
Ed è proprio nei laboratori, eredi delle storiche botteghe dove le conoscenze tecnico-artigianali si tramandavano di padre in figlio, che abbiamo trovato la chiave di lettura per riflettere sullo sviluppo della mostra (dal 3 Marzo al 14 Aprile 2018) che gli artisti di Parasite 2.0 sono stati chiamati a realizzare al Centro Arti Plastiche (CAP) di Carrara. Questi luoghi, dove talvolta la tradizione e il contemporaneo si incontrano, sono stati per noi lo strumento per ragionare su un discorso più ampio, che parte dalla tensione tra passato e futuro e arriva a una riflessione sul concetto di natura e artificio.
Ai nostri occhi di artisti e curatori, Carrara è sembrata una città in cui da una parte il tempo pare essersi fermato e dall’altra vi permane la certezza che questo non possa accadere. Un luogo dalla natura contraddittoria e attraente, nella quale non si può fare a meno di respirare un passato così illustre e allo stesso tempo così greve e un conflitto palpabile tra chi si radica nella tradizione e chi la abbandona per aprirsi all’innovazione. E forse è proprio questa tensione irrisolta che la rende così unica e da cui bisognerebbe partire, in un’ottica costruttiva, per ragionare sul futuro di questa città.
INFO sul progetto a cura di ARTECO, ovvero sulla residenza del collettivo d’arte Parasite 2.0 e sulla mostra al CAP di Carrara (dal 3 Marzo al 14 Aprile 2018):