TUTTO SI UNISCE

Andrea Braconi

Appennino senza confini: la storia di Andrea Braconi, un racconto anche fotografico su Montemonaco (Ascoli Piceno, Marche). Partecipa anche tu a questa narrazione collettiva su cultura e territorio della spina dorsale d’Italia!

Un progetto di CCT in collaborazione con il Corso di Studio PROGESA (Progettazione e Gestione degli Ecosistemi agro-territoriali, forestali e del paesaggio) dell’Università di Bologna insieme alla Scuola AL.FO.N.S.A. (ALta FOrmazione e innovazioNe per lo Sviluppo sostenibile dell’Appennino) promossa da UNIAPPENNINO (Università per l’Appennino) e ad ANA (Accademia Nazionale di Agricoltura).


Montemonaco, Ascoli Piceno, Marche

Quella casetta è un filo, attraverso il quale la memoria e la prospettiva si uniscono. Da oltre 70 anni. E le sue mura, consumate dalle intemperie, parlano rivolgendosi alla Sibilla, profilo dove leggende e segreti camminano lungo sentieri battuti da viandanti e soprattutto da una fanciulla, che porta dentro una storia di resistenza e resilienza.

Resistenza perché i suoi nonni, in quel 1943 di guerra civile, salvarono la vita a 4 soldati inglesi scappati da un campo di prigionia e rifugiatisi proprio tra quelle pareti, dove l’Appennino lambisce le province di Ascoli Piceno e Fermo. Li nascosero nella loro abitazione, nella frazione di Colleregnone, rischiando rappresaglie da parte delle milizie nazifasciste.

Resilienza perché quella casa – un’altra dimora in questo racconto sospeso – è diventata il simbolo del cammino di Nadia. Un cammino fatto di pura passione, quella pozione che una ragazza nel frattempo diventata donna (e madre) ha riversato in ogni sua scelta. A partire dal chiamare quel luogo Le Castellare, dal trasformarlo in agriturismo, dall’accogliere tante esistenze salite fin sotto il cospetto della Sibilla. Ma quando la terra ha rovesciato tutto, tra l’agosto e l’ottobre 2016, quel desiderio si è lacerato. “Inagibile”: è ciò che si è sentita dire alla prima verifica. Una parola, una sola parola, che le ha strappato il respiro.

Ma chi di montagna si nutre, ha una certa dimestichezza con la fatica. La soffre, la vede sopraffare tutto e tutti. Ma poi sa reagire, ritrovando la direzione. Grazie al segno giusto. Come quello impresso su paletti di strisce bianche e rosse, compagni di viaggio di ogni camminatore. Anche lungo i 160 chilometri del Grande Anello dei Sibillini, con una porzione che accarezza la struttura di Nadia e, solo pochi metri più avanti, la casa dove Eric Batteson e i suoi tre compagni si eclissarono da soprusi e arroganza.

Proprio lui, Eric, che dopo tanti viaggi tra la Gran Bretagna e il sud delle Marche non ha più trovato la forza di muoversi. A quasi 100 anni, però, nonostante il fisico manifestasse l’ineluttabilità, la mente ha voluto ricordare. Con forza. E così, ha ricambiato quel dono – una vita liberata – con una cifra molto significativa per aiutare chi, dal terremoto, era uscito squarciato.

Nadia, quel giorno, non ha retto. Roccia tra le rocce, accarezzata ogni giorno da una Regina Appennica che forse non si è mai allontanata da quella grotta a quasi 2.000 metri sopra il livello del mare, ha scelto le lacrime. La riapertura de Le Castellare più che un miraggio le si manifestava come un incubo: carte da completare e firmare, e poi altre carte, ostacoli di ogni genere e fattezza, attese e indugi incomprensibili. Altri avrebbero invertito la rotta. Non lei. Non lo ha fatto neanche scontrandosi con un’altra scossa, di quelle inattese. “Il terremoto lo metti in conto, è un urlo che qui conosciamo. Ma una pandemia no, è qualcosa di inatteso e devastante. Che ferma tutto”. O quasi.

Un anno di lavori, di pietre prima in terra e poi di nuovo incastonate. Le porte che tornano a spalancarsi. Le finestre che mostrano fondali di una terra solcata da altre esistenze. E il telefono che torna a riverberare, sia quando Nadia si allontana dalla curva da cui si spalanca l’Orrida Gola dell’Infernaccio, sia dal lato opposto quando si lascia alle spalle una Montemonaco custode, forse, della visuale più maestosa sui Sibillini. Chiamano amici e turisti, mentre papà Pietro è adagiato sopra una “greppia”, tavolaccia dalla quale si nutre “la vacca”. Mamma Angela, invece, ad un altro filo appende gli abiti del piccolo Francesco, che oramai di questa striscia di Marche conosce pietre e gocce. Volti di una famiglia che si rigenera stagione dopo stagione. Scossa dopo scossa. Senza capitolare. Perché tutto, a queste latitudini, si unisce. Il tempo e la speranza. Le voci e gli sguardi. Nadia e la Regina. Resistendo.


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