Berlino, alla scoperta di Friedrichshain

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Samariterstraße

BERLIN Quando si parte alla scoperta di una nuova nazione, in cui si parla una lingua diversa dalla tua, non infilare un dizionario nella valigia potrebbe creare in seguito diversi problemi di comunicazione, se questa lingua non la padroneggi per bene. Per me, aver lasciato il dizionario a casa, invece, è stata una benedizione.

Dopo pochi giorni di permanenza berlinese nel quartiere di Charlottenburg, ho scoperto un sistema di scambio – Free your stuff – che mi ha permesso di conoscere persone nuove e di rifornirmi di quello che mi mancava. Scattata l’esigenza dizionario, ho trovato l’annuncio di Nele che mi ha subito risposto: “passa da casa mia verso le 4, abito in Friedrichshain”.

Per chi non lo sapesse, Berlino non è una semplice città ma il risultato dell’unione di 12 diversi distretti (Bezirk o Verwaltungsbezirk), da cui spesso si può anche evitare di uscire perché forniti di tutto ciò di cui si possa avere bisogno. Molti berlinesi, nati e cresciuti sempre nella stessa fetta di città, sono restii a cambiare quartiere, perché in uno di questi dodici a disposizione hanno trovato la loro dimensione ideale di vita, perché la loro quotidianità è conforme allo stile e alla storia delle strade in cui vivono. Tra Spandau e Marzahn, infatti, si sviluppa un’enciclopedia umana di migliaia di pagine dai colori diversi.

Per un esploratore, però, ogni quartiere è una nuova scoperta, per cui non vede l’ora di varcare le soglie di un mondo diverso rispetto a quello già visto, abbandonando i percorsi consigliati dalle guide turistiche più famose, perché spesso il bello del viaggio è non avere una meta precisa, ma perdersi e imbattersi in qualcosa di nuovo.

Partendo da Alexanderplatz, ci sono molti modi diversi per attraversare ed esplorare Friedrichshain. Il più veloce è a bordo dell’U-Bahn 5, la linea metropolitana che percorre tutta la zona est della città. Se lo scopo, però, è quello di scoprire nuovi paesaggi, non si può rimanere sottoterra, perdendo l’occasione di ammirare piazze come Frankfurter Tor. Una volta fuori dalla stazione si nota subito una Berlino dai grandi stradoni alberati, percorsa da auto sfreccianti, ricca di piccoli negozi e di persone, sovrastata dalle due torri che danno il nome alla piazza e dalla Fernsehturm (torre della televisione) di Alexanderplatz che si nota in lontananza, in un cielo aperto dai larghi orizzonti.

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Nele abita sulla Samariterstraße e devo ancora camminare un po’. Più si procede in avanti su questo viale alberato, la Frankfurter Allee, più si nota che l’archittettura austera e monocromatica di reminiscenza sovietica, su cui domina il grigio, inizia a prendere vita e colore e i locali si riempiono di gente che non ha fretta e dallo sguardo un po’ perso nel kaffee caldo.

All’incrocio svolto a sinistra  e scopro che la Samariterstraße è una strada lastricata in pietra d’altri tempi. Gli edifici, alti e dai tetti aguzzi, sono quasi del tutto ricoperti di scritte e murales colorati che sembrano scacciare per un attimo la malinconia suscitata dalla lunga schiera di mura grigie e spoglie. Sì, questa è l’altra Berlino di cui si sente parlare come di una leggenda passata, quella degli edifici rimasti vuoti dopo la riunificazione e in seguito occupati dagli squatters, in cui aveva preso vita, anche se per poco tempo, un progetto di vita condivisa e di iniziative culturali.

Oggi, gli anni delle rivolte e delle occupazioni sono ormai lontani, la maggior parte degli edifici sono stati sgomberati e riportati alla “normalità”. L’aria di questo quartiere è rasserenata, mancano le luci insistenti e le vetrine di lusso dei quartieri più occidentali, ma i piccoli negozi di abbigliamento e i ristoranti etnici sono invitanti e accoglienti. Gli abitanti, per lo più giovani, lo rendono uno dei più ambiti quartieri dai nuovi arrivati, dai nostalgici e da chi si è trasferito a Berlino per trovare un ambiente fertile per la propria creatività e lontano dal caos della metropoli.

Nele abita in uno di questi vecchi palazzi, le suono per farmi aprire il portone e davanti trovo ad attendermi quattro piani, senza ascensore, sulle solite scale di legno malandate e cigolanti. Col poco fiato rimasto in gola ringrazio Nele che mi aspetta sul pianerottolo pieno di cianfrusaglie, prendo il mio meritato dizionario inglese-tedesco e me ne vado.

Cambiando direzione si arriva subito sulla Rigaer Straße, conosciuta dai più come ultimo baluardo delle occupazioni berlinesi e recente luogo di scontro con le autorità per lo sgombero dello storico spazio occupato, Rigaer Straße 94. In realtà, tra un murales e l’altro, su queste strade si vedono soprattutto gruppi di bambini a passeggio con le loro madri e ragazzi.

Davanti agli edifici occupati c’è poca gente ma si sente, a volte, della musica provenire da dentro. Un’immagine dai forti contrasti, dati dall’incontro tra realtà ed età molto diverse che coestistono pacificamente tra loro, nonostante tutto, perché Berlino – come dice Karl Scheffler (1869 – 1951, critico d’arte e pubblicista tedesco) –“è una città condannata per sempre a diventare e mai ad essere”. Su Berlino non si può mai dire niente di certo e definito, perché qui è tutto in continuo movimento.

Lo stesso vale per i Berlinesi, ogni giorno diversi, con un nuovo lavoro, un nuovo hobby, un centinaio di eventi a cui partecipare e la valigia sempre pronta dietro la porta… ma allo stesso tempo con uno stile di vita comunque rilassato, in cui l’ansia per il futuro non ha molto spazio a disposizione.

Samariterstraße
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