
Borgo Museo | Casa Paloscia 1975 – 2021
La vita
Franca Frittelli si presenta così: “Sono figlia d’arte: provengo da una famiglia di scrittori, storici, artisti, architetti: Riccardo Marchi, scrittore e poeta, Vittorio Marchi, storico di Livorno, Virgilio Marchi, architetto e scenografo firmatario con Antonio Sant’Elia del Manifesto dell’architettura futurista, nonché docente al Centro di Cinematografia Sperimentale di Roma. Da bambina la mia casa di via dei Prati a Livorno era frequentata sempre da scrittori, pittori e architetti”. L’artista ha il suo atelier in un bellissimo parco a Vada, nel comune di Rosignano. Docente di storia dell’arte: disegno, scenografia, spettacolo, ha ottenuto la laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È impegnata socialmente, tiene conferenze e ha all’attivo pubblicazioni sulla storia sociale dell’arte al femminile nella differenza di genere, ha infatti ottenuto il master di II livello sulla Complessità, differenza di genere presso il Dipartimento di Filosofia all’Università di Pisa. È presidente dell’associazione artistico culturale La Torre Artivisive e ha tenuto numerosi laboratori di scultura, teatro e audiovisivi. Ha partecipato a numerosi simposi nazionali e internazionali di scultura, durante i quali ha esposto sculture monumentali in marmo, granito e legno. Nel novembre 2020 è stata presentata la sua biografia, Fiori di pietra (autore Michele Dattolo), presso la Casa della Cultura di Milano, a cura della prof.ssa Giuliana Nuvoli.
La poetica
Franca Frittelli ha cominciato fin da bambina a dipingere e da adulta ha iniziato a lavorare in teatro nel primo gruppo sperimentale Teatro Vita a Livorno, come attrice e autrice. Il suo ultimo maestro è stato Franco Nonnis del Teatro Stabile di L’Aquila. L’artista è attratta dalla figura umana e dal movimento del corpo umano. Lavora con diversi materiali: marmo, pietra, ceramica, bronzo e legno, per citarne solo alcuni. Nelle sue opere si percepisce un forte senso plastico e è evidente l’accentuazione della rotondità delle masse. Dice di lei Tommaso Paloscia: “[…] Si tratta di figure che all’interno hanno gli echi di una energia scatenante, quasi l’anima in eterna ribellione che la scultrice insinua nelle crete, nei gessi, nelle resine ma anche nei marmi e nel travertino: con una capacità espressiva apparentemente incolta e invece esperita nello studio delle tante discipline frequentate e di cui porta con sé orme…”. La sua poetica dichiarata è: “Ogni attimo, ogni giorno, viviamo l’infinita grandezza del nostro “essere” – l’arte è la vita stessa”.
L’opera a Castagno
L’artista è una delle ultime ad essere stata coinvolta nel Museo all’aperto di Castagno fondato dal critico Tommaso Paloscia. Il suo rapporto con Paloscia si perde nella notte dei tempi, lei stessa lo ricorda così: “Tommaso ha curato una delle mie prime mostre in Versilia presso “L’Arlecchino”. È nata subito una simpatia e un feeling sentimentale e intellettuale che si è trasformato nel corso di varie presentazioni artistiche in profonda stima e affetto. Tommaso ha curato la mia personale presso la Regione Toscana nel 2005. Al termine della mostra mi ha lanciato uno sguardo di commiato silenzioso, ma pieno di significato, che mi ha rattristato moltissimo. Il mio caro amico se ne sarebbe andato di lì a poco. Non ho mai avvertito un così profondo dispiacere e un vuoto, così difficilmente colmabile: tanto era forte la sua persona da tutti i punti di vista. Devo a lui se ho indirizzato proficuamente le mie produzioni artistiche. Dopo la sua assenza lo ricordo con amore, la sua immagine è sempre viva. Ci si frequentava in compagnia di sua moglie al mare a Vada, a presenziare dibattiti sull’arte con i miei allievi e alla storica Torre del Faro di Vada nel comune di Rosignano Marittimo. Provo sempre commozione. Caro Tommaso la tua essenza è sempre tra noi”.
La scultura Venere del 2000 è stata donata direttamente dall’artista alla collezione di Castagno e recentemente (nell’ottobre 2020) collocata da Simonetta Paloscia nella Piazzetta delle artiste donne davanti Casa Paloscia a La Vigna (Castagno). Si tratta di una scultura in pietra gialla di Rosignano, una pietra proveniente da una cava locale ormai dismessa. I riferimenti estetico-formali archeologici sono evidenti: la statua ci ricorda “le veneri preistoriche’’, “quando la femminilità, il simbolo femminile era di fondamentale importanza: la creazione di tutte le forze della natura, della madre terra, ‘’la procreazione’’, poco importano i tratti fisiognomici, quello che conta è la sua volumetrica prosperità, centro di tutto e di tutti gli individui. Ma la mia Venere è piegata oggi: non è eretta, non ha ancora riacquistato quel potere antico, quella fondamentale importanza, ‘’il potere della centralità del mondo’’. Tanta strada deve ancora sopportare per la sua visibilità, tanto ancora deve soffrire per esserci a tutti i livelli. Le superfici sono un po’ lisce e un po’ corrugate, i volumi, i suoi elementi compositivi, ci coinvolgono comunicandoci un senso di tenera poesia nonostante la posizione. Le masse volumetriche non disturbano, anzi in tutto questo contrasto ci coinvolge la sua delicatezza e la sua leggerezza”. In Venere del 2000 la figura della donna è in maniera espressionista volutamente deformata in una posa estrema e accentuata, deliberatamente irriconoscibile, perché, come riscontra la critica d’arte Antonella Serafini: “[…] in queste pose estreme si celebra una voluta “irriconoscibilità” della donna a costo di frantumare i canoni dell’armonia quando essa non si rivela essere altro che la sua prigione”.
Leggi l’articolo (con fotogallery) Casa Paloscia e la nuova piazzetta delle artiste donne.