Viaggiare è un’attività meravigliosa. Arricchisce la mente di chi si muove, apre gli occhi a quanto ancora abbiamo da conoscere del mondo, rende quasi dipendenti da quel brivido di stupore che attraversa il corpo nell’attimo di scoperta. L’atto di viaggiare, però, non si riflette esclusivamente su chi si sposta: ha un importante impatto anche sull’ambiente e sulla società, sulla comunità locale, sulla vita degli abitanti, delle persone. Un aspetto che spesso si tende a sottovalutare.
MOROCCO Quando nel Marzo 2013 abbiamo visitato per la prima volta Merzouga, oasi a sud-est del Marocco nella provincia di al-Rashidiya, è stato possibile notare come il massiccio afflusso turistico costringesse la comunità locale a condizioni di vita mediocri. Abbiamo compreso come determinati atteggiamenti da parte delle masse di visitatori che qui accorrono continuamente, affascinanti dalle tradizioni locali, siano una notevole causa dello stallo dell’economia marocchina. Al ritorno a casa, accurate ricerche hanno confermato e rafforzato la nostra tesi, evidenziando un problema specifico che coinvolge in particolare la fetta più giovane della popolazione.
Accade infatti che, spinto dalla propria famiglia e personalmente motivato, il bambino approcci il turista nel tentativo di elemosinare e barattare per pochi dirham (moneta marocchina), manufatti o piccoli fossili. Il turista, ignorante del fine che certe richieste possano nascondere, è portato a cedere, diventando così fonte di guadagno facile per le famiglie dei bambini. Questa è la prima causa del crescente assenteismo scolastico da parte della prole e di abbandono del lavoro da parte dei genitori, in un circolo vizioso che si perpetua attraverso l’incoscienza degli stranieri di passaggio.
Indignati della cecità del turismo di massa, superficiale e distruttivo, abbiamo voluto tentare di far aprire gli occhi davanti a realtà che continuano ad essere ignorate dai più. L’idea di dar vita ad un reportage che denunciasse finalmente l’impatto negativo di un certo turismo, in questo caso in Marocco, è il progetto che ha portato alla formazione di Lifestills Collective: un gruppo di amici con la passione per i viaggi, le diversità culturali e la settima arte.
Grazie ad una campagna di crowdfunding, ci siamo spinti fino ai piedi del grande Erg Chebbi, l’agglomerato di dune più alto del Marocco, con la missione di portare alla luce una realtà difficile e non troppo distante da noi, un problema che non riguardasse esclusivamente la popolazione locale ma che, anzi, traesse in causa soprattutto la società occidentale.
Siamo partiti determinati a confezionare un messaggio potente di denuncia sociale che avesse il potenziale di scuotere le coscienze e accendere una scintilla di consapevolezza. E lo abbiamo fatto utilizzando il medium cinematografico, proprio per le sue importanti capacità comunicative: l’universalità del linguaggio, la chiarezza di trasmissione e la disposizione ad un maggior coinvolgimento emotivo dello spettatore.
“Qui ho visto, nei quarant’anni che vengo qui, un cambio enorme. Tutta quella magia e quella naturalità che c’aveva la gente qui, non ce l’hanno più, e il turismo per me è stato negativo sotto questo punto di vista. Ha portato altri vantaggi: questa era una zona povera, non lo è più. Però prima li vedevo più felici.”
Rico Sardelli ci ha raccontato il cambiamento subito dalla popolazione marocchina. Fa il paragone con i conquistatori dell’America, racconta la distruzione di un mondo diverso che abbiamo voluto necessariamente riassestare secondo i nostri canoni, in un processo di omologazione che sarà la condanna della diversità. Li abbiamo persuasi ad avvicinarsi ai nostri standard a costo di sacrificare le loro tradizioni, le loro usanze, ciò che rendeva la loro cultura affascinante proprio perché diversa.
Ascoltando la sua e tante altre testimonianze, quelle di chi ha vissuto o vive qui, “Grains of gold” profila un quadro delle principali problematiche sociali, culturali e ambientali causate da un turismo senza etica. Ci mostra il lento svanire dei villaggi originali, con la loro tradizione berbera-desertica e influenze islamiche, soffocate dalle masse di visitatori, consumate dalla nostra incoscienza. Mostrando gli spazi sconfinati, la vita quotidiana degli abitanti dei villaggi, ma anche la contaminazione globale, le riprese contestualizzanti del documentario, assieme alle interviste agli esperti, parlano chiaro: gli usi e costumi del luogo stridono con le pratiche di importazione occidentale con le quali oggi convivono. Eppure noi continuiamo a viaggiare, senza porci scrupoli sul nostro modo di interferire nella vita degli altri che “visitiamo”.
“La differenza è enorme fra il viaggiatore è il turista. Il viaggiatore è quello che cerca di vedere da vicino come è un popolo, un posto, condividere certe cose, scambiarsi informazioni sulle differenti forme di vita, o di filosofie di vita. Al turista di questo non gliene frega proprio nulla.”
I “Granelli d’oro” sono il potenziale economico del deserto che, a causa di una gestione inadeguata, viene disperso come sabbia che scivola tra le dita. Ma, allo stesso tempo, rappresentano anche le preziose future generazioni, speranza di un avvenire migliore, il vero oro su cui puntare.