Elena Mazzoni Wagner
La signora di un negozio di libri usati a Firenze, un po’ di anni fa, mi raccomandò una scrittrice che nessuno prima, né a scuola né all’università, mi aveva mai nominato. Il libro, stampato nel 1986, costava 7.000 lire. Con due euro me ne impossessai e con una matita rosa lo lessi sottolineando alcune frasi. Tra cui, questa:
Fin da bambina avevo sentito in modo confuso come nella città l’uomo dia una sfida incessante e superba alla natura per lui limitata e insufficiente. In verità, circoscrivendo in certo modo la sua prigione, l’uomo si sente tra le mura cittadine più libero e possente che sotto l’infinito cielo stellato, che dinanzi al mare e alla montagna incuranti di lui: ciò spiega anche l’ostentazione del progresso che le metropoli offrono.
Una verità ancora più forte, dopo un secolo. Ma chi è l’autrice?
Sibilla Aleramo nasce Alessandria nel 1876; cresce a Milano e poi in un borgo marchigiano, dove a 16 anni è costretta a sposare un uomo che non ama. L’abbandono del padre, la depressione della madre, la violenza del marito, la solitudine, lo studio, il bisogno di evadere, il lavoro, il figlio e l’amore materno, la legge maschilista, il femminismo, il sogno di libertà, i nuovi ideali, il desiderio di vivere, l’infelicità e l’impossibilità di essere una donna.
Donne e uomini; agglomerati e pur così privo ognuno di aiuto! Quella l’umanità? E chi ardiva definirla in una formula? In realtà la donna, fino al presente schiava, era completamente ignorata, e tutte le presuntuose psicologie dei romanzieri e dei moralisti mostravano così bene l’inconsistenza degli elementi che servivano per le loro arbitrarie costruzioni! E l’uomo, l’uomo pure ignorava se stesso: senza il suo complemento, solo nella vita ad evolvere, a godere, a combattere, avendo stupidamente rinnegato il sorriso spontaneo e cosciente che poteva dargli il senso profondo di tutta la bellezza dell’universo, egli restava debole o feroce, imperfetto sempre. L’una e l’altra erano, in diversa misura, da compiangere.
Sibilla Aleramo è in realtà lo pseudonimo di Rina Faccio che nel 1902 si trasferisce a Roma, dove lavora per una rivista e comincia a scrivere il suo primo romanzo: “Una donna“ è il suo racconto autobiografico che esce nel 1906 e viene tradotto in tutt’Europa e negli Stati Uniti. Il primo romanzo femminista italiano non è un capolavoro per la scrittura ma per la ribellione e ricerca della felicità come diritto assoluto che afferma.
L’aspirazione appassionata ad una vita di libertà e d’azione, in armonia colle mie idee.
Sibilla Aleramo è una donna moderna che ha sofferto e lottato. Lo studio e il lavoro, l’impegno sociale e politico, l’hanno sicuramente liberata. Ha vinto? Non lo so. Ha dovuto comunque rinunciare al figlio, a essere madre, per essere donna. Libero è stato poi anche il suo amore: la sua relazione col poeta Dino Campana, i tanti amanti poveri, spesso poverissimi, la scelta a sessant’anni di un compagno ventenne. Nelle pagine del suo Diario ha scritto: “nessun uomo in particolare amo, ma l’umanità tutta quanta nel suo presente e nel suo divenire”.
Sibilla Aleramo muore a Roma nel 1960 ed è stata una Donna.
* Lo pseudonimo o nome d’arte: SIBILLA – La Sibilla (l’etimologia del nome è sconosciuta) è una vergine, giovane ma talora pensata anche come decrepita, la quale quando viene ispirata e quasi posseduta da Apollo rivela il futuro. Questa della Sibilla è una concezione essenzialmente popolare, riconoscendo tutti i popoli alla donna una maggiore recettività e una conseguente maggiore capacità di soggiacere al possesso di un nume e di esprimerne la volontà. ALERAMO è l’anagramma di “amorale”.