Matteo Garavoglia
PHNOM PENH Cosa dire della Perla d’Oriente? Una città dal passato glorioso che giace quasi addormentata sulle rive del Mekong, fiume nonché linfa vitale di gran parte del sud est asiatico, sotto i duri colpi di uno dei mesi più duri dal punto di vista climatico: Giugno, che tra una media di quaranta gradi e l’inizio della stagione monsonica, non lascia spazio a interpretazioni di alcun tipo.
Subito dopo aver passato il controllo della polizia di frontiera al Phnom Penh International Airport, un nodo alla gola ti coglie all’improvviso e la normale respirazione pare rallentare: è il caldo mischiato al forte odore tipicamente asiatico, un mix di cibo di strada, inquinamento stradale e spazzatura abbandonata un po’ ovunque.
E una volta saliti sulla suggestiva versione cambogiana del tuk tuk, taxi composto da un motorino normalmente scassato e un rimorchio che può ospitare al massimo quattro persone, il benvenuto in Cambogia non poteva che essere dei migliori. Il centro non è molto distante, solo otto chilometri lo separano dall’aeroporto, ma è sufficiente per farsi una prima idea di cosa ci si possa aspettare da una città del genere.
É dopo essere entrati lungo la strada che porta verso il cuore pulsante di Phnom Penh che il divertimento può davvero cominciare. Schiere di palazzi fatiscenti e altri ancora in costruzione fanno da cornice al roboante caos che circonda l’innocente tuk tuk, intrappolato tra lussuose macchine e motorini – ancora in vita per miracolo – che lo sorpassano da destra, sinistra e anche davanti, nel bel mezzo di pericolosi incroci o facendo rischiosi slalom tra la gente che, pazientemente, aspetta solo di poter attraversare la strada senza essere investita.
Salta all’occhio un gruppetto di quattro bambini cambogiani, di al massimo otto anni, evidentemente appena usciti da scuola, coi grembiuli e lo zainetto ben stretto sulle spalle, che già abituati alla caotica vita di Phnom Penh, schivano le macchine e i tuk tuk con massima diligenza e possono così continuare il loro tranquillo tragitto verso casa.
Sui marciapiedi, intanto, la gente preferisce non passarci. Il motivo? Semplice, tra officine che riparano qualsiasi cosa gli capiti a tiro, tavolini di fast food, bancarelle di cibo da strada e macchine parcheggiate o motorini che, per evitare il traffico, decidono di fare uno dei tanti strappi alle regole del codice della strada, il marciapiede si è trasformato in qualcos’altro, un prolungamento della vita cittadina che non ha posto per i pedoni.
Il primo impatto con Phnom Penh è questo. Se non si è mai stati nel sud est asiatico, essere catapultati in mezzo a questo caos può inizialmente turbare il viaggiatore. Ma, dopo essere scampati a potenziali incidenti e aver pagato i giusti sette dollari all’autista, è stato compiuto solo il primo passo verso l’affascinante scoperta della Cambogia. Giusto in tempo per godersi, da asciutti, lo spettacolo naturale della pioggia monsonica che – con il suo inaspettato arrivo al calar del sole e la sua violenta intensità – pulisce le strade, rinfresca Phnom Penh e tranquillizza gli animi esagitati dei guidatori cambogiani.