Margaux Morganti
San Josè, Costa Rica
Zaino in spalla e partire: è questo l’imperativo categorico che scatta ogni sabato mattina. Dopo una settimana di lavoro, il traffico cittadino e l’inquinamento acustico causato da mezzi di trasporto pubblico – non proprio di ultima generazione – , resta solo una soluzione per sopravvivere allo stress ed è tutta racchiusa in trenta centimetri di valigia e in un biglietto di viaggio che porta alla destinazione “Parque Nacional Manuel Antonio”. Così partiamo alle sei di mattina dalla stazione di autobus Trascopa, poco fuori del centro di San Josè; ci aspettano circa tre ore di viaggio, ma se questo è il prezzo da pagare per ritrovare il contatto con la natura siamo disposte a tale compromesso.
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L’autobus si lascia la capitale alle spalle; iniziamo a vedere paesaggi diversi, fatti di campi seccati dai raggi del sole; la monotonia è interrotta solo dalla presenza di qualche cavallo libero intento a mangiare i pochi fili di erba verde rimasti in questa stagione estiva. Ci fermiamo a metà strada per una breve sosta e ripartendo attraversiamo un ponte: l’autobus rallenta, quasi a motore spento, e non capiamo il motivo. Un bambino seduto qualche poltrona dietro la mia inizia a urlare estasiato “Coccodrilli, coccodrilli!”. Non credendo alle mie orecchie, cerco di verificare con gli occhi: ed eccoli lì, una decina di coccodrilli, enormi e apparentemente pacifici, che sembrano dormire beati incuranti dei turisti che si avventurano incoscienti a pochi metri di distanza per immortalare il momento con una fotografia. Il viaggio prosegue, interrotto da un’altra sosta, questa non programmata, dovuta al guasto dell’autobus: non capita di rado, infatti, che i mezzi utilizzati nei lunghi viaggi si rompano. In breve tempo passa subito un altro bus a recuperarci. Piano piano la vegetazione cambia, il verde aumenta, gli alberi s’infittiscono, i colori vivaci iniziano a primeggiare; dopo una salita ripida, si apre la bellezza di una vista indescrivibile a parole.
Il Parco Manuel Antonio si presenta come un re che custodisce gelosamente nello scrigno del suo perimetro tesori autentici e unici. L’autobus ci lascia a pochi centimetri dal ciglio della spiaggia e subito siamo accolte da un esemplare di iguana grigia che ha fatto di un foro nel marciapiede la sua tana prediletta. Ci guarda, con aria trionfante, come se fosse soddisfatta delle nostre facce dominate dall’estasi per questo luogo ameno.
Ci dirigiamo in hotel giusto il tempo di lasciare lo zaino e corriamo subito sulla spiaggia; sabbia bianca, fina, sottile e dolce, emana un’energia ristoratrice. Mare profumato, cristallino e delicato, invita ad accarezzarlo. La baia racchiude preziose sfumature di colori e di persone; vivaci famiglie, coppie felici e giovani all’avventura, un’atmosfera così accontenta ogni richiesta. Parto per una passeggiata lungo la costa; non possono mancare i turisti che si dedicano agli sport acquatici, come neanche i carretti tipici che percorrono la spiaggia offrendo ristoro con agua de pipa tagliata e servita sul momento e con del granizado, granite ricavate da blocchi di ghiaccio, la cui forma è modellata con il collo di una bottiglia di coca cola. L’arte dell’arrangiarsi.
La giornata si conclude con un cocktail in mano, gustato mentre il cielo dona un tramonto mozzafiato, che incanta decine di persone, radunate in spiaggia con cellulari e macchine fotografiche pronte ad immortalare il preciso istante in cui il giorno lascia lo scettro alla notte.
L’indomani mattina alle sette siamo già in fila ad attendere l’apertura del Parco per fare il nostro ingresso; scarpe da ginnastica e spray anti-insetti sono le raccomandazioni che i ticos ci ripetono a menadito. Intrepide ci addentriamo in sentieri ancora deserti. I coraggiosi sono sempre premiati, e così è stato anche questa volta: la spiaggia di Puerto Escondido ci accoglie insieme alla sua magnificenza. Granchi e paguri fanno a gara con noi, unici esemplari della razza umana, in una corsa verso il mare. Dopo un primo bagno, decidiamo di cambiare spiaggia e continuiamo a camminare verso la baia di Manuel Antonio, più popolata, ma non solo da esseri umani. Qui sono gli animali selvaggi gli unici a poter paventare il loro diritto di residenza. Scimmie della specie cappuccino che si ciondolano scherzosamente dai rami degli alberi, procioni che infilano il loro nasetto negli zaini dei turisti alla ricerca di qualche leccornia, bradipi e tapiri che popolano la foresta. Ed infine, una iguana che, custode dell’equilibrio del biosistema, rincorre minacciosa i visitatori che fanno troppo rumore. Tra un tuffo e l’altro il tempo vola ed è già giunto il momento di far ritorno a San Josè, più leggere dell’andata, perché lo spirito si è depurato dalla pesantezza della modernità umana. Parque Nacional Manuel Antonio, patrimonio rigenerativo dell’anima.