Metti un sabato pomeriggio a San Josè

Margaux Morganti

San José, Costa Rica

Uscendo dalla residenza dell’ambasciata italiana si ha come l’impressione di varcare uno dei gironi descritti da Dante: il passaggio netto da un mondo (quello incantato, europeo) a un altro (quello reale, del centroamerica). Ci rechiamo alla fermata dell’autobus e per sicurezza il guardiano della residenza punta la telecamera su di noi: non di rado è accaduto ad altri “pasantes” (così gli indigeni chiamano i tirocinanti delle varie ambasciate) di essere assaliti e derubati proprio in attesa della corriera. Saliamo sul mezzo che reca l’indicazione “Concepcion de Tres Rios”; non sembra vero, come tante altre situazioni già vissute in meno di ventiquattro ore dal nostro arrivo; o magari è la nostra vita europea a non essere quella vera e questa in cui ci siamo come d’improvviso risvegliate è la “pura vida”: passeggeri stipati proprio come nei film ambientati nel centroamerica. Arriviamo al capolinea e scendiamo. Iniziamo a percorrere l’Avenida Central, spettacolo di colori vivi e miscellanea di persone, tutte rigorosamente con il sorriso e la gioia sul volto. Ai lati dalla via principale, i negozi locali si alternano ai classici fast food, che la globalizzazione ha portato anche qui.

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Arriviamo all’entrata del Mercado Central e incuriosite entriamo; si apre così davanti a noi una città nella città: dai baracchini che vendono pillole e prodotti che promettono miracoli nella perdita del peso, a banchi di pesce fresco e carne della migliore qualità. Dopo tanto vagare ci fermiamo; decidiamo di pranzare in uno dei tipici casottini del mercato dall’aspetto molto spartano. Coraggiosamente ordiniamo gallo pinto (il piatto tipico per eccellenza) e una sopa de mariscos (zuppa di pesce). Un successo. Giunto il momento di tornare in residenza (qua fa buio già verso le sei della sera) ci accingiamo alla fermata dell’autobus: una fila quasi chilometrica di persone in attesa della corriera ci lascia basite, e non resta che esclamare “que Dios nos acompañe”. Forse impietositi dalla nostra faccia desolata, una coppia di giovanissimi ticos (i costaricensi si chiamano così) ci lascia passare e riusciamo a prendere il primo autobus. Il bus arranca nelle salite, ma ci porta a destinazione. Un po’ di vita reale non guasta per apprezzare quello che è il nostro mondo privilegiato.

“Costa Rica, Pocas Casas, Pura Vida” cantanto gli Ex-Otago

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