Salento lento: un ritorno alla terra e un nuovo vento

Salento lento
muretto a secco, Salento

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AVIS Autonoleggio ITalia


(…) vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
divento ulivo e ruota d’un lento carro,
siepe di fichi d’India, terra amara
dove cresce il tabacco.

Vittorio Bodini

SALENTO Dimenticate le spiagge con sdraio e lettini incastrati a puzzle. Dimenticate i dj set che cancellano il suono del mare. Dimenticate le non-masserie turistiche, da riviste patinate e cerimonie. Se siete curiosi, toglietevi gli occhiali da sole e venite con noi ad esplorare il Salento meno battuto e più vero. Quello che esiste tutto l’anno e che sta rinascendo grazie ad un ritorno alla terra da parte di molti giovani e a due tendenze: la riscoperta dell’agricoltura autoctona, naturale e sostenibile, e la promozione consapevole del territorio per un’alternativa al turismo di massa, cieco e distruttivo.

E così tra quei muretti a secco e cespugli di fichi d’India, terreni abbandonati e incolti, querceti, vigneti e mandorli solitari, distese di grano dimenticato e uliveti secolari lasciati alla Xylella, qualcosa sta cambiando e c’è già il futuro per chi è tornato o rimasto facendo scelte d’innovazione sociale e creando nuove economie responsabili: masserie didattiche, produzioni biologiche a km 0, laboratori creativi, progetti lungimiranti e reti collaborative. Ne abbiamo conosciuti alcuni e vedere le loro passioni diventate realtà produttive è stato il paesaggio più bello di questo viaggio.


Ci siamo completamente affidati ai consigli di chi abbiamo incontrato per strada e ringraziamo tutti, uno ad uno (voi sapete chi siete), per aver condiviso con noi il vostro amore per questa terra. Pochi intensi giorni non bastano per vedere tutto ma grazie al vostro aiuto abbiamo vissuto qualcosa di importante… Sta soffiando un nuovo vento – (molto diverso da quello dello slogan “Lu sule, lu mare, lu jentu”)e abbiamo l’impressione che soffierà sempre più forte! Noi vi promettiamo di continuare a raccontarlo. Intanto, qui, trovate:

1 Titolo di giornale (e di viaggio) + 2 Guide da tenere in tasca + 3 Cibi da assaggiare con stupore + 4 Luoghi da frequentare + 5 Luoghi per camminare e meravigliarsi (tra cui un paese fantasma) + 6 CCTips (intimi consigli)!


Il nostro viaggio da Prato a Lecce‬ – con Avis Autonoleggio Italia – in un minuto: dai cipressi toscani alle palme salentine! * musica tratta da “Lu Core Meu” in omaggio alla ‪‎pizzica‬ salentina che ci é subito entrata in testa ed é rimasta nel cuore.

‪#‎AvisUntrending‬
‪#‎SeeCity‬ [with Love,
@elenacct & @alessioclicio]


1 Titolo di giornale (e di viaggio):

“La felicità si muove lentamente” è il titolo dell’editoriale che presenta Su Rotaie, fanzine che parla di sostenibilità. Il primo numero – che mi capita tra le mani mentre attendo di assaggiare il famoso formaggio di mandorle (senza latte!) di Piccapane (vedi di seguito) – è dedicato all’agricoltura e racconta tre giovani storie [Laboratorio rurale Luna, Spazi Popolari, Pachamana] che dimostrano come la terra sia sempre una risorsa incredibile se si applicano passione e rispetto, studio e innovazione. Recupero di colture locali e ricerca della biodiversità, con tecniche naturali e sperimentali; invece di fertilizzanti chimici, si usa il letame; invece degli erbicidi, si imbraccia la zappa. Cara multinazionale Monsato (che da decenni vendi i tuoi veleni – in particolare il diserbante Roundup – anche agli agricoltori italiani), questi “nuovi contadini” con pagine web e interconnessi non li freghi.


Su Rotaie è il periodico di Stazione a Sud Est: uno spazio creativo e di condivisione, a cura di Oikos, che promuove progetti dal basso su mobilità sostenibile, turismo culturale e cittadinanza attiva, e con sede proprio al secondo piano della stazione ferroviaria di Otranto (dopo aver vinto un bando e riqualificato l’intera struttura abbandonata da oltre 40 anni). I treni della Ferrovia del Sud Est si muovono per 474 km e collegano le quattro province meridionali della Puglia: una lenta e felice alternativa per esplorare i piccoli ma sorprendenti borghi che spezzano la campagna salentina.

cielo di Galatone, Lecce
centro di Galatina, Lecce

2 Guide da tenere in tasca:

1) SALENTO. Guida Estiva di URKA! Colazione + Mare + Mangiare + Storia e Natura + Bere + Ballare + Eventi e Sagre + Dormire. Questo libriccino di 108 pagine (più 6 per scrivere il proprio diario di viaggio e altre 6 da colorare) è una guida critica e ironica, pensata per chi va oltre l’apparenza del marketing e cerca di grattare sulla patina dell’immagine. Una guida con un punto di vista locale e curioso firmata URKA! e prodotta grazie ad un crowdfunding. Inoltre, potete aggiornarvi su Urkaonline.it: punto di riferimento per residenti e passanti, per chi frequenta la movida notturna ma anche feste patronali, per chi ha a cuore natura e cultura. Ah! Urka è anche App, la trovate su iTunes.

2) Un itinerario al giorno: sette (più uno) percorsi alternativi alla scoperta del Salento. Lontane dagli stereotipi delle riviste su mete modaiole e inflazionate, queste 93 pagine raccontano gli itinerari promossi dalla rete dei Circoli Arci di Lecce uniti nel progetto ArciTurismo Salento per un turismo responsabile e sostenibile, alternativo e lento.


3 Cibi da assaggiare con stupore: 

1) Pomodori gialli d’inverno: si chiamano così per il colore della buccia e perché vengono raccolti in estate e durano tutto l’inverno. Giuro! “Qui i ‘pummidori te ‘mpisa’ o ‘te penda’ sono più di un ortaggio, sono un’istituzione culinaria.” – Racconta Salento Km0 *(vedi di seguito). Si legano tra loro con lo spago in grappoloni che si trovano appesi nelle cucine e credenze delle case salentine. Ricchi di semi, hanno una buccia spessa dal giallo-arancione al rosso, e un sapore che non si scorda. Pare sia la varietà di pomodoro più antica del Salento e viene coltivata in aridocoltura: qualità notevole per una terra povera di risorse idriche superficiali e proprio per questo (per l’acqua di cui non ha bisogno) vanta una lunghissima conservazione. Esclusi ed ignorati da un’industria alimentare che si basa su estetica (innaturale) e consumo dettato da scadenze, questi pomodori sono invece coltivati negli orti di alcune masserie e da nuove aziende agricole, innovative e lungimiranti. Non a caso, li abbiamo assaggiati per la prima volta – appena conditi sopra una frisa di “grano Senatore Cappelli” – proprio in una di queste, a Karadrà: progetto di aridocoltura multifunzionale (vedi di seguito). Sapere che erano stati colti lo scorso luglio (10 mesi fa)… ci ha davvero stupiti!


2) Erba di Mare: viene chiamata in diversi modi tra cui “finocchio marino” ma preferisco il nome che mi ha detto una nonna salentina! Cresce a cespugli sugli scogli asciutti e le sue radici si strappano facilmente. Di solito viene conservata sott’aceto e servita poi in insalate fresche di grano, farro o simili, ma la potete anche sbollentare e friggere con un po’ di farina. Ha un profumo meraviglioso che ricorda il limone e un sapore altrettanto buono e particolare. Noi l’abbiamo raccolta sugli scogli della Baia di Porto Selvaggio, un Parco Naturale (vedi di seguito), riempiendo la nostra CCT-Shopper (e sperando di non aver infranto la Legge)! 🙂


3) Frise (o friselle) di Grano duro Senatore Cappelli: basta bagnarle per 10 secondi in una ciotola d’acqua – a me piace ammorbidirle appena, lasciando l’esterno più croccante – e sono pronte per i pomodori tagliati a piccoli bocconcini e conditi a vostro piacere! Oltre ad essere buonissime ed un pasto estivo ideale, sono fatte con un antico grano che narra una storia molto interessante: la maggioranza dei prodotti derivanti dal grano, che si consumano oggi in Italia, hanno origine da una varietà geneticamente mutata. “La varietà più coltivata è infatti il ‘Creso’, creato nel 1974 da ricercatori del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare di Roma, che bombardarono la più antica varietà Cappelli con raggi gamma. Ottennero questa nuova varietà, più produttiva e di dimensioni ridotte, meglio adatta all’agricoltura moderna e meccanica. Il grano Cappelli era stato fino ad allora il più coltivato nel Belpaese, soprattutto in Puglia, considerata all’epoca “granaio d’Italia” insieme ad altre regioni meridionali.” – Racconta sempre Salento Km0. – Fu chiamato così in onore del Senatore Raffaele Cappelli che alla fine dell’800 diede avvio ad una grande riforma agraria. La varietà Cappelli è più adatta all’agricoltura biologica, poiché la sua altezza (160-180 cm) e il suo apparato radicale molto sviluppato soffocano e tolgono luce alle malerbe, riducendo enormemente il bisogno di utilizzare antiparassitari. Inoltre, possiede un contenuto di glutine molto più basso rispetto alla varietà Creso: il suo consumo costante riduce la possibilità di sviluppo di intolleranze, come la celiachia, oggi sempre più diffuse. Spesso, in nome della produttività, sono stati sacrificati qualità e nutrienti contenuti nei cibi quotidiani.” Quindi, recuperare antiche varietà non è un passatempo per appassionati ma un modo concreto di salvaguardare ambiente e salute, avere più scelte e godere di diverse bontà!

* Per approfondire cultura e coltura locali, ecco un buon link: www.salentokm0.com > Salento Km0 tutela la biodiversità e mette in rete aziende agricole di biologico, ristoranti e negozi bio con laboratori, pubblicazioni e mercati contadini. Lo fa online e offline, sul web ma anche sulla carta con La Guida Salento Km0: una mappa in due lingue che censisce da una parte produttori agricoli e associazioni che sviluppano e promuovono pratiche di sostenibilità, dall’altra antiche varietà agricole locali a rischio di estinzione.


4 Luoghi da frequentare:

1) Protocaos, Galatone (Lecce): questa “Masseria Sociale” è un’idea di Giorgio Colopi, psicologo e arteterapeuta che, dopo aver studiato e iniziato la carriera a Roma, ha deciso di tornare a “casa”. Nella sua terra aveva percepito un cambiamento, si stava sviluppando una rete locale troppo vitale e innovativa per non farne parte e di cui adesso, da qualche anno, la sua Masseria è un nodo molto particolare. Il progetto, avviato e finanziato da GAL Serre Salentine, prevede uno spazio produttivo agricolo integrato ad attività sociali che promuovono il benessere psicofisico, con più attenzione a soggetti vulnerabili; le attività avvengono inevitabilmente a contatto con la natura circostante – (che invidia l’aula-studio: un’intera parete a porte vetrate con vista su terra rossiccia, alberi di ulivo e cielo!) – e prevedono percorsi di orto solidale, onoterapia e terapia ortofloricoltura. Ma anche laboratori creativi come il Teatro (grande passione di Giorgio) legato alla Psicoterapia della Gestalt e allo Psicodramma. Inoltre, c’è un programma di Residenza Artistica: la mattina al mare, il pomeriggio in campagna, e sei giorni per creare uno spettacolo. #FareTeatroPerSmettereDiRecitare è l’hashtag che riassume la filosofia di questo luogo! Potete informarvi sul sito web e pagina facebook. Ah! Nel giardino, dietro la masseria-casa-studio, c’è un albero che produce chili di dolcissime albicocche. Se avete qualcosa di altrettanto buono con cui barattare, Giorgio sarà felice di darvene una cassa. 🙂

* Dato che vi trovate a Galatone, fate un giro: sulla strada per il centro cittadino, vi sorprenderanno Ville d’epoca con sfarzose e ricamate architetture. Per pranzo o cena, consigliamo “Sascianne”. Poi, da qui, potreste raggiungere la “sorella” Galatina, famosa per la bellissima Basilica di Santa Caterina d’Alessandria (1391) con pareti e soffitto completamente affrescati (fate attenzione agli orari che il guardiano è tassativo e antipatico).

2) Karadrà, Cutrofiano (Lecce): “Karadrà” deriva dal greco antico ed è un concetto, significa “acqua che dalla terra nasci e dalla terra vieni ringhiottita”. Viene quindi in mente il fenomeno carsico che caratterizza il territorio salentino e pugliese. Dal 2014, questo nome indica una campagna particolare, un insieme di terreni fertili e circondati da canali, affidati da diversi privati all’Associazione di Promozione Sociale Arci Club Gallery (con base ad Aradeo), qui impegnata in un progetto agricolo multifunzionale che vuole restituire all’agricoltura, oltre al suo compito primario di produzione, quello altrettanto naturale di creare attorno a sé una comunità che tutela il patrimonio co-e-cu-lturale. Ma questa terra “fatta di muretti a secco e canali asciutti, di ulivi e mandorli solitari” ha spinto i giovani e creativi di Karadrà non tanto all’agricoltura quanto all’aridocoltura: l’insieme degli accorgimenti volti a consentire la coltivazione in ambiente arido, cioè in assenza di irrigazione ed in presenza di precipitazioni minime. Questa permette di portare sul mercato prodotti naturali cresciuti nel rispetto della terra e della risorsa acqua, a costi competitivi. Inoltre, fa scoprire come l’evoluzione di per sé abbia donato a molte piante la capacità di produrre frutti ad alto contenuto nutrizionale e lunga conservazione. Da qui il loro impegno nel recupero delle biodiversità locali. Da più anni attivi sul territorio con proposte culturali e di promozione sociale, hanno deciso di impegnare il loro Tempo Lavoro anche nei campi, reinvestendo di volta in volta il ricavato a sostegno delle spese agricole e della loro formazione. Il sistema innescato prevede la concessione d’uso di terreni incolti e abbandonati, la loro bonifica e messa a produzione. Adesso stanno lavorando al ripristino del Vecchio Fondo Cafazza, agro di Cutrofiano, in una ricostruzione non solo agricola ma anche storica, cercando il coinvolgimento della comunità e di vari attori sociali, associativi e istituzionali, per condividere l’obiettivo di rivitalizzare il sistema rurale e la qualità della vita locale. Hanno così avviato una mappatura del territorio circostante la zona di interesse agricolo, aprendo un archivio digitale e cartaceo per il censimento del patrimonio naturale e architettonico. Hanno scelto consapevolmente il Fondo Cafazza per le sue caratteristiche geomorfologiche favorevoli, essendo attraversato dal sistema di canali dell’Asso, unico sistema idrico naturale di tutta la regione, Zona Umida da tutelare. “Karadrà – Cooperativa Agricola Produzione Lavoro” NON vuole resistere MA prosperare. E la sfida più grande sarà dimostrare che il lavoro paga e ne crea di nuovo, senza dimenticare che il cibo serve al corpo come l’arte all’anima. Infatti, oltre a lavorare e produrre, qui si svolgono eventi multidisciplinari aperti al pubblico di ogni età: dal risveglio muscolare all’aperitivo didattico, da mostre a mercatini, da spettacoli a musica e balli… E poi non mancano mai tre cose: tanti sorrisi, buon cibo e che tramonti… Seguite la loro pagina facebook.

3) Piccapane, Cutrofiano (Lecce): contadini, cuochi e artigiani che si sono ripresi il proprio tempo per adattarlo ai tempi della natura. E che camminano scalzi o al massimo in sandali… senza calpestare i sogni. “I tipi con le Vans sono tollerati e accolti,” dice la guida URKA! “certo, ma visti come gente da aiutare, gente, per capirci, che ama ancora la Coca Cola e la cotoletta. La loro iniziazione passa da una bella stonatura con il vino biologico di Giovanni di Monteroni. Quando ne berranno una tanica e la mattina dopo non avranno un filo di emicrania, scopriranno di aver sbagliato tutto. Le loro Vans, come per magia, si trasformeranno in Camper, per poi ridursi in sandali Birkenstock e infine in calli ai piedi.” Questo luogo è tante cose: Azienda Agricola Biologica e Biosteria Vegana, Agriturismo e Masseria Didattica. Inoltre, l’azienda ha aderito al circuito WWOOF, attraverso cui ospita volontari da tutto il mondo, interessati all’agricoltura biologica e a condividere esperienze e conoscenze. Capito? Non importa andare fino in Australia per vacanze-lavoro rurali! Ma potete venire qui anche solo per rilassarvi e mangiare: si cucina tutto ciò che cresce negli orti attorno e, se lo desiderano, gli ospiti possono raccogliere da sé quello che mangeranno la sera (da provare i loro formaggi vegani, di lupini e di mandorle). Nell’orto si utilizzano solo concimi organici (letame e sovescio) e repellenti naturali (olio di neem) contro gli insetti dannosi, con recupero di semi autoctoni e minimo impiego di mezzi meccanici. Per scoprire tutte le loro attività ludico-didattiche, visitate il sito web e la pagina facebook.

4) Masseria Miele, Lecce: scontato dirvi che qui producono miele (millefiori e di melata, buonissimi) ma forse non lo è raccontarvi che prima di trovare questo terreno appena fuori città, la gentilissima coppia di apicoltori – Loris e Marita – che adesso vive qui, aveva tentato di avviare la propria attività in un’altra area salentina. Area, come tante altre, evidentemente avvelenata (da un’agricoltura insana), dato che in poco tempo ha ucciso tutte le loro api! Per fortuna, hanno poi trovato questa meravigliosa struttura del XIV secolo in un’oasi naturale e alle porte di Lecce, costituita da più corpi di fabbrica intorno ad un’aia sovrastata da una torre, la parte più antica. La “Casa del Contadino” è un luogo accogliente e conviviale, ritrovo di viaggiatori e viandanti. E poi c’è un bellissimo giardino per serate estive al fresco e buona compagnia (che d’inverno si sposta nella sala interna). Un luogo di social eating e soprattutto una Masseria. E se, dopo tanto girare per il Salento, ora siete un po’ confusi, non avete ancora ben capito cosa era e cosa è (oggi) una vera “masseria”, allora questo è il posto perfetto per conversare, chiedere e ascoltare! In sintesi, qui abbiamo imparato che una vera “masseria” è una comunità e un’azienda agricola che produce tutto ciò che serve e vende. Quindi, dubitate di chi si nomina “masseria” ma veste sempre elegante e, ogni weekend, apparecchia tavolate da matrimonio: serve prodotti della casa o del supermercato? Pare che la moda di riqualificare vecchie strutture in “masserie moderne” ma che, invece di coltivare la terra e allevare animali, lavorano soprattutto con dj e pr, abbia creato negli ultimi anni un po’ di confusione, un’immagine molto lontana da quella originale… persino nella testa dei salentini! Quindi, domandare è lecito e consigliato. Soprattutto quando si ha davanti persone che amano così tanto il proprio lavoro e sono quindi esperti appassionati della terra che vivono, profondi conoscitori, felici di condividere e raccontare.

* NOTA: questi sono quattro esempi di realtà interessanti e particolari, fuori dai soliti circuiti, di cui abbiamo avuto diretta esperienza. Ne esistono però tante altre, quindi, siate curiosi e chiedete alle persone del luogo, fatevi suggerire dove/come coltivano, acquistano o barattano, e vi si aprirà ogni volta un mondo! Molte di queste le potete scoprire anche ad alcuni eventi-mercati presso Manifatture Knos, centro culturale, nato nel 2007, negli spazi di una ex scuola professionale per operai metalmeccanici, a Lecce.


5 Luoghi per camminare e meravigliarsi:

1) Parco Naturale di Porto Selvaggio, Nardò (Lecce): “La chiamano spiaggia, ma qui di sabbioso non c’è quasi niente. – dice URKA! e dice vero. – L’unica cosa che richiama vagamente il concetto è una piccola striscia di pietre ammucchiate, indegne della meravigliosa scogliera e tutto ciò che le circonda. Dopo aver rischiato di rotolare giù per la discesa del parco naturale che vi separa dal mare, vi troverete davanti a uno dei posti più incontaminati della penisola. Nonostante la marea di gente e pasta al forno ammassata nella pineta, il bagno in quest’acqua cristallina è un piacere che rimane inattaccabile. Quando, poi, al ritorno dopo la lunga risalita raggiungerete stremati la vostra auto posta ai lati della strada nonostante il divieto di fermata, sappiate che imprecare non servirà ad annullare la multa. Occhio, quindi, perché poco più in là c’è sia un parcheggio libero che uno a pagamento.” Alla Baia di Porto Selvaggio – dove abbiamo raccolto tanta Erba di Mare (vedi sopra)  si può arrivare attraversando a piedi tutta la pineta (in dolce discesa) con ingresso tra Torre Uluzzo e Torre di Santa Caterina (per la risalita, niente di traumatico e poi ne sarà valsa la pena!). Pian piano gli alberi lasciano intravedere il blu marino e se siete attenti, ad un certo punto, sulla sinistra, troverete un piccolo santuario selvaggio dedicato alla Madonna, una mini cappella decorata con oggetti lasciati da devoti. Sia nel parco che nella baia, a inizio Giugno, abbiamo incontrato pochissime persone… Insomma, se volete evitare la massa, evitate giorni e orari di massa! 😉 E come suggerisce la nostra guida di fiducia, sempre URKA!: “Dopo aver risalito lo splendido quanto massacrante sentiero in mezzo al parco di pini di Porto Selvaggio (riserva del WWF) riprendetevi con un buon aperitivo al Fico d’India– un simpatico bar (aperto solo in calda stagione) che offre sfizioni taglieri e la sera anche house minimal party, proprio davanti a Torre Uluzzo, dall’altro lato della strada.


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2) Chiesetta di Santu Mauru, Sannicola (Lecce): chiara, di pietra, su una collinetta rocciosa, con la facciata che guarda il mare, da Gallipoli (a sinistra) fino all’altro lato, oltre la Montagna Spaccata e Santa Caterina, questa chiesetta domina le omonime rupi dedicate a San Mauro. “I primi documenti risalgono al 1149 e riguardano le comunità monastiche basiliane che ebbero ospitalità all’interno di un monastero retrostante, oggi ridotto a cumuli di macerie. – racconta URKA! – Nei pressi della chiesetta ci sono anche delle grotte, dove la leggenda vuole sia stato ritrovato il corpo trafugato del Santo martire. Altre storie più recenti hanno poi alimentato l’immaginario di questo luogo, in particolare alcune legate a riti oscuri e messe nere negli anni in cui l’abbazia era abbandonata a se stessa. Oggi, grazie al restauro del Comune di Sannicola, è invece possibile ammirarne la bellezza…” Questo luogo conserva qualcosa di magico, dicono. Ultimo mistero che l’ha vista sulle pagine di cronaca locale è stato nel 2011, quando l’antica Abbazia di San Mauro si è svegliata col tetto tutto dipinto di rosa! Atto vandalico per alcuni e soprannaturale per altri… Vernice colata dal cielo: chi è lo street angel? “Consigliatissima una visita al tramonto, – raccomanda URKA! – quando la luce del sole arde sul campanile e bacia da lontano il borgo fortificato di Gallipoli.” E poi potreste cenare sugli scogli sotto le rupi, allo Scapricciatiello, ristorante di pesce (molto spartano) con una terrazza vista mare e montagna (Spaccata) niente male.


3) Monteruga, un paese fantasma (Lecce): sulla strada da San Pancrazio Salentino a Torre Lapillo, c’è un intero paese completamente disabitato dagli anni ’80 e circondato da sconfinati ettari di macchia mediterranea e fertili terreni che lo nascondono agli occhi dei passanti. Per accedere, basta ignorare i cartelli arrugginiti che indicano “Proprietà privata”. Monteruga è un borgo nato in epoca fascista dallo sviluppo dell’omonima masseria (con i motti del regime ancora visibili all’interno dello stabilimento vitivinicolo) e dominato dalla Chiesa di Sant’Antonio Abate che si affaccia su una piazza d’erba, delimitata da alte palme. Adesso l’altare e le panche della Chiesa sono ricoperte da calcinacci ma almeno qui si può ancora entrare. Sui muri di molti altri edifici, invece, come quelli del porticato, dove un tempo vi erano le dimore dei contadini, si legge ovunque “Pericolo di crollo”.


L’incuria sta tristemente facendo crollare il paese. Sì, questa gigante masseria non era solo un’azienda agricola con frantoio e cantina ma un vero paese dove c’era tutto: oltre la Chiesa e la piazza, c’erano le poste, la scuola rurale e la caserma; c’era la fabbrica del tabacco e persino una pompa di benzina. Qui arrivarono famiglie intere dal basso Salento e altre regioni, creando una comunità autonoma che viveva dei prodotti della terra. E, come in ogni altro paese, qui sbocciavano amori, si facevano matrimoni e figli. Poi la privatizzazione e spartizione dei terreni mentre i centri urbani attiravano a sé sempre più agricoltori. Monteruga, ormai abbandonata, è passata da mani pubbliche a private, fino a (si dice) Maurizio Zamparini, il presidente del Palermo calcio, con progetti sfumati nel nulla. Il risultato attuale è ciò che si vede: un paese fantasma che ogni tanto risuscita sulle pagine di cronaca locale per brutti affari, come giri di prostituzione o episodi di messe nere. Però nel 2013, qualcosa è cambiato. L’attuale proprietario “Innominato” ha dato casa ad una simpatica coppia, Mimmo e Margherita, che si sta occupando – con tutte le risorse che non ha – di custodire ciò che resta di Monteruga. Così, da qualche anno, questo paese ha almeno due abitanti, qualche lavoratore, alcuni animali da fattoria, molti cani e gatti. I due non dicono nulla sul destino di questo luogo, inutile insistere con le domande. Ma sono felici di raccontarne la storia e lasciar visitare ciò che è ancora “fuori pericolo”.


Oltre a noi, il giorno in cui abbiamo visitato Monteruga, c’era una giovane famiglia venuta a passeggiare. E sempre più persone, ci dicono Mimmo e Margherita, si interessano a questo luogo. Cosa sarebbe se venisse riqualificato nel rispetto della sua storia… Caro Proprietario, avrai di certo notato come l’incuria stia distruggendo Monteruga. Noi sai ancora cosa farci? Ti prego, non dire un agriturismo di lusso che nessuno ne ha bisogno. Prendi ad esempio modelli come Favara, non aver paura di chiedere aiuto, coinvolgi cittadini e associazioni locali. Questa Bellezza, anche se tecnicamente non è più un Bene comune, merita di essere salvata con la sua identità, vale a dire, senza escludere il territorio e la sua comunità.

* NOTA di RINGRAZIAMENTO: Grazie Erika! Non potevamo sperare di avere una “guida” locale più esperta, una vera viaggiatrice, curiosa e appassionata. Grazie di cuore e alla prossima avventura! * MESSAGGIO per i CCTzens: Mimmo ha promesso, organizzeremo un ritrovo a Monteruga! 😉 

Torre Lapillo, Porto Cesareo, Lecce

4) La Spiaggia di Torre Colimena (Taranto): qui si trova l’ultima testimonianza delle saline che erano presenti sulle coste del Salento. Una palude tra campagna e dune che finiscono in mare, a pochi minuti di auto da Torre Lapillo (Porto Cesareo, Lecce) e, dall’altro lato, a due chilometri dalla spiaggia di Punta Prosciutto. La Salina Vecchia o dei Monaci ha prodotto sale fino al 1812 ed oggi si estende ancora per circa 30 ettari. Presente già in epoca preistorica, insieme ad altri luoghi simili e vicini, si pensa abbia ispirato i Romani a chiamare questa terra “Salento” (luogo provvisto di sale). Ah, si narra anche che sia abitata da fenicotteri… ed è vero! Se venite li potete vedere. E se andate via dal mare tardi, dopo il tramonto – (che meraviglia il riflesso del cielo su queste acque salate!) – e avete fame fame fame, fermatevi a cena da Lu Puzzu (Torre Lapillo) e ordinate una puccia, farcita a vostro piacere.


* NOTA di RINGRAZIAMENTO: Grazie Elisa! Se CCT ha una “lettrice fedele” allora quella sei tu che da anni ormai lo tieni stretto sul tuo pc, tra le pagine web preferite, e sul tuo frigo di casa (come sticker)! Grazie per averci scritto, dopo aver capito da Instagram che saremmo stati in Salento nel tuo stesso periodo… Grazie per averci raggiunto a Monteruga, insieme ai tuoi amici, e grazie di cuore per averci portato a vedere un tramonto così. Al prossimo incontro! 🙂 

5) La Grecìa Salentina: questo nome identifica un gruppo di paesi dell’entroterra dove i nonni, tra loro, parlano ancora il Griko! In passato, l’area grecofona si estendeva su un territorio più vasto, tra Otranto e Gallipoli. Oggi si tratta di 11 comuni a sud di Lecce: Calimera, Carpignano, Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Soleto, Sternatia, Zollino, Carpignano Salentino, Cutrofiano. Qui le tracce della preistoria si intrecciano con i monumenti bizantini, quelli medievali e il barocco leccese. E, in misura diversa, sopravvivono tradizioni popolari che risalgono ad una comune radice greca. Sino al 1945, il griko era parlato da quasi tutti gli abitanti; dopo la Seconda Guerra Mondiale, per ragioni socioeconomiche (emigrazione, scuola, giornali, radio, televisione, etc.), il numero dei grecofoni si è ridotto alla popolazione sempre più adulta… Negli ultimi anni, però, anche nei più giovani, è cresciuto l’interesse di rivalutare il proprio patrimonio, volontà manifestata in varie associazioni e centri che promuovono i beni comuni e culturali.

A Calimera (Kalimera in griko significa buongiorno) potete visitare la Casa-Museo della Civiltà Contadina e della Cultura Grika ma anche il Museo di Storia Naturale del Salento (con oltre 2000 mq, è il museo naturale più grande del sud Italia). Prima di tutto, però, curiosate il sito web di In-Cul.Tu.Re.: un bel progetto d’innovazione sociale nel restauro e turismo che offre uno sguardo nuovo su questo antico territorio. Suggerimento importante: evitate di visitare questi borghi di domenica, giorno in cui quasi tutti scappano (giustamente) al mare e quindi, ad eccezione di qualche bar, è tutto chiuso. Anche perché, se visitate la Grecìa Salentina, dovete sentir parlare il griko! Che buffo, una lingua capita dai greci ma incomprensibile già ai salentini dei paesi limitrofi. Pantaleo è un nonno di Calimera, dove vive con sua moglie, nata a pochi chilometri di distanza ma dove già non si parlava questa lingua; con lei, infatti, comunica in salentino, con gli amici in griko, con me in italiano. “Pantaleo” – il suo nome, mi spiega – significa “sempre dico” e il suono mi ricorda la formula filosofica “πάντα ῥεῖ” (tutto scorre, in greco antico) mentre penso che certe cose, invece, non dovrebbero mai scorrere ma rimanere così, per sempre: dovremmo poter incontrare un Pantaleo seduto al bar in Piazza del Sole, a Calimera, anche tra cent’anni e che ti saluta così: Stàsu calò!” (Statte buéne! o bùne! in salentino, Stammi bene! in italiano).

La Chiesa Madre (dedicata a San Brizio) in Piazza del Sole, Calimera, Grecìa Salentina, Lecce

6 CCTips (intimi consigli):

1) Come preparare lo zaino per una lunga passeggiata salentina tra ulivi e scogli: telo leggero da mare; cappello per farsi ombra nelle ore più calde; per un eventuale cambio, una t-shirt (o un vestito per lei, assai più fresco e comodo; indossato con dei pantaloncini, si è comunque libere di sedersi in terra); borraccia piena d’acqua; mix di mandorle tostate e bacche di goji per uno snack. E URKA! (piccola guida cartacea sul Salento, vedi sopra).


2) Più si cammina, più si conoscono luoghi e persone. Non siate pigri e indossate comode scarpe da walking.


3) Seguite i consigli dei locali: non siate timidi, chiedete sempre alle persone che incontrate. Vi disabituerete subito alle convenzioni urbane (di solitudine detta “privacy”).


4) Al ristorante: ecco, qui, niente fretta. Inutile sollecitare i camerieri, i vostri piatti prima o poi arrivano. Rilassatevi e preparate lo stomaco a spalancarsi!


5) Al bar: ordinate un caffè in ghiaccio con latte di mandorla. Una dolce goduria, soprattutto nei giorni più caldi. Fame? Allora, pasticciotto alla crema! Oppure un rustico – il “Re dello street food salentino” – se preferite il salato.


6) Non perdetevi nemmeno un tramonto! Che siate al mare o in campagna, a est, ovest o sud della penisola salentina, ogni imbrunire sarà diverso e vi strapperà un pezzetto de “lu core” che lascerete lì. Dove, con la mente, tornerete infinite volte. E dove, poi, lo ritroverete sempre.


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LECCE, quannu mpunna… mpunna buenu!

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