La linea tica*

Margaux Morganti

*P.S. Tico o Tica = sinonimo informale di ‘costarricense’
(it.: costaricense o costaricano)

Domenica mattina, via Panamericana, San Josè: inizia qui il nostro primo viaggio di esplorazione all’insegna dei sapori culinari locali. Partiamo presto la mattina per goderci un’intera giornata degustativa; entriamo in un cafè e ci avviciniamo al bancone, chiedendo consigli per la colazione. “Corazon ti posso dare un bel piatto di gallo pinto”: con questa frase si apre a noi il nuovo mondo. Pietanza a base di riso soffritto e frijoles, fagioli neri, il gallo pinto è emblema del pasto casalingo di campagna, a volte arricchito da uova strapazzate: una buona dose di energia per partire la mattina. Incuriosite dal nome chiediamo all’oste di spiegarci questa tradizione culinaria. Le origini della pietanza non sono certe: si narra sia stata servita per la prima volta dagli schiavi africani migrati verso la costa caraibica i quali, tra il bianco del riso e il colore scuro dei fagioli, hanno invece coniato il nome gallo pinto pensando al gallo dalle piume rosse.

Il nostro tour prosegue verso il villaggio di Zapote, noto per il mercato domenicale, ritrovo dei tanti agricoltori che, depositari dei sapori veri, preferiscono avere uno scambio diretto con il cliente e incantare i curiosi con la meraviglia dei colori dei loro prodotti. Prendiamo carta e penna e iniziamo ad annotare la miriade infinita di frutta e verdura a noi del tutto ignota. Ma la mia vista è subito attratta da un bancone dai toni sorprendenti: un tripudio di ananas, anguria e mango. La magia deve ancora accadere; intraprendo una conversazione con il coltivatore locale, che mi chiede con gentilezza quale frutto desideri. Gli rispondo che in realtà se potessi, prenderei enormi quantità di ogni frutta, ma il peso dei sacchetti mi limita. Ed ecco che accade l’inaspettato: come per incanto il proprietario del banco prende un esemplare per ogni frutto e lo spreme dentro un utensile che sembra appartenere ad altri tempi. In breve tempo mi offre un batido (frullato di polpa di frutta fresca con aggiunta di sola acqua) dalle sfumature artistiche e dal sapore a dir poco estasiante.

Insomma, una vera opera d’arte. Dopo aver pranzato con il tipico casado, piatto di gallo pinto servito con la variante del mezzogiorno arricchita da un’insalata di cavolo, pomodori ed una porzione di jucca, passeggiamo per le vie del mercato, fino a quando ci risvegliamo davanti ad un uomo che attira decine di persone al grido di “agua de pipa fria, agua de pipa fria!. Con un piccolo macete e con un colpo deciso, apre una noce di cocco e la serve con una cannuccia; non mi resta che provare questo nettare. Ancora una volta le mie papille gustative incontrano un sublime sapore, refrigerante dalla calura del sole cuocente. La nostra gita fuori porta termina qua per oggi, non c’è più spazio nella pancia; così io e la mia amica Veronica torniamo a casa felici con quattro sacchetti a testa di delizie ticas.

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